Dopo il “trionfo” inglese di Vita e destino, che per trentasei ore si è piazzato al primo posto delle classifiche dei libri più venduti del Regno Unito, si è di nuovo imposto agli occhi di tutti il paradosso di Vasilij Grossman, uno scrittore che, dopo anni di censura prima e di velato silenzio poi, sta riscoprendo solo in tempi recenti quella fortuna che la storia sembrava avergli negato. Perché sta accadendo questo? Non è tanto il caso di rispondere richiamando le più o meno note vicende che hanno accompagnato la sua carriera e la rocambolesca storia del suo romanzo, quanto di interrogarsi appunto sulla natura del paradosso che lo vede protagonista. Vi è in effetti un che di singolare se si pensa che l’intera opera di Grossman si muove su fatti e avvenimenti appartenenti a un’epoca totalmente differente dalla nostra, legati a un universo storico e culturale, quello dell’Unione Sovietica e dell’epoca dei totalitarismi, che sembra molto lontano.
Ma se ciò è vero, lo è altrettanto il fatto che a leggere Grossman oggi si sperimenta un’indiscutibile affinità. Possiamo usare le sue stesse parole: «Ci sono libri leggendo i quali l’uomo, entusiasta, dice a se stesso: “Anch’io ho pensato così, ho sentito e sento così, anch’io ho vissuto questo. L’uomo che legge queste pagine è come se lasciasse sciogliere la vita dentro di sé, come se facesse penetrare l’immensità e la complessità dell’esistenza umana nel suo sangue, nel suo pensiero, nel suo respiro». Una descrizione magnifica, che Grossman evidentemente conosceva molto bene e alla quale non poteva che aspirare, di quella classicità dell’arte vera capace di superare la propria epoca, non eludendola, ma cogliendone il significato eterno.
È proprio questo, infatti, ciò che sorprende dell’ultimo libro pubblicato da Adelphi, Il bene sia con voi!, una raccolta di racconti che Grossman scrisse tra il 1955 e il 1963, nell’ultima decade della sua vita e contemporaneamente alla stesura di Vita e destino e di Tutto scorre. Quando un grande artista trova una melodia, un tema, non riesce più a staccarsene e lo ripropone continuamente. Così, se Vita e destino è una grande sinfonia, eccezionale per maestosità e magnifica come compiutezza, questi racconti possono essere paragonati a delle sonate, focalizzati ognuno sulla “voce” di un solo strumento. L’orchestra, in un certo senso, è sottintesa ma la melodia è la stessa, inconfondibile: è quella che, in una bellissima espressione, Grossman chiama «l’umano nell’uomo».
La complessità e l’immensità della vita, alla quale non è negata la tragicità e neppure le feroci contraddizioni, fanno emergere il volto di singoli personaggi, a volte solo abbozzato, ma acutamente penetrante, che rivela sempre quell’unicità, quell’irripetibilità del singolo individuo che in Grossman è il nucleo più originale dell’esistenza e che nulla può cancellare. Basti pensare alla storia di Nadja, protagonista di Mamma, che Grossman riprende dalla vera storia della bambina adottata da Nikolaj Ežov, il “nano sanguinario”, principale collaboratore di Stalin durante il Grande Terrore e responsabile della morte di migliaia di persone. La bambina, piccola e innocente, ancora incapace di parlare, capisce e vede tutto, e “svela” i cuori delle persone, degli alti papaveri del partito che fanno visita al padre e addirittura dello stesso Stalin.
E nulla, anche dopo la caduta in disgrazia dei suoi genitori adottivi, le impedirà misteriosamente di conservare il ricordo affettuoso e materno della balia che con amore l’aveva accudita, e di vivere in prima persona la tenerezza della maternità. Nulla può cancellare questo nucleo umano che sorge della macerie, come Grossman descrive ne La strada attraverso gli occhi del mulo italiano Giù durante la campagna di Russia. Come Tolstoj aveva fatto con il cavallo Cholstomer, suggerendo ai formalisti il concetto di “straniamento”, Grossman usa la prospettiva del mulo, dotato di coscienza e pensiero squisitamente umani, per descrivere le tristi contraddizioni del “mondo degli uomini”, ma con un senso di pietà che alla denuncia preferisce la compassione. Non è un caso che la storia si concluda con un happy end: il mulo italiano si innamora di una cavalla russa, e decide di rimanere con lei. Le lacrime finali esprimono tutta la commozione di chi ha trovato il calore dell’affezione là dove essa sembrava inimmaginabile. Un altro racconto, poi, Fosforo, spiccatamente autobiografico, racconta in forma romanzesca gli anni universitari di Grossman, la scoperta dell’amicizia e la forza del desiderio di chi dalla vita si aspetta una grandezza inevitabile. Giungeranno i tradimenti, l’orgoglio, le rivendicazioni meschine, ma nulla, neanche il vivo senso della propria debolezza e la coscienza del male, possono allontanare il bene della vera amicizia, impersonata da Krugljak, prototipo dell’amico devoto e fedele.
La melodia di Grossman, quell’«umano nell’uomo» che diventa ormai tema dominante, attraversa infine i due scritti che, più degli altri, segnano il suo testamento letterario. Il primo è Dobro vam! (Il bene sia con voi! che dà il titolo alla raccolta, traduzione del saluto armeno Barev Dsez) nel quale lo scrittore ripercorre un viaggio in Armenia compiuto pochi anni prima di morire. Le riflessioni si inseguono così come i ritratti, i tipi umani, le storie delle persone incontrate. Grossman parla dell’arte, della poesia e della creazione artistica. E anche della storia, della civiltà e del concetto di popolo. Un segno del destino, forse, che fa concludere il tormentato cammino della sua opera con uno scritto sull’Armenia, terra millenaria e “culla” dell’uomo, del peccato e della salvezza, della storia di Dio con l’uomo attraverso Noè e la sua Arca.
Il secondo è La Madonna Sistina. Siamo nel 1955 e la tela di Raffaello è esposta per l’ultima volta al museo Puškin di Mosca. Grossman va in visita, la vede e ne rimane folgorato. In quella madre completamente carnale e in quel bambino che ella tiene in braccio e allo stesso tempo offre a chi la guarda, l’ateo Grossman vede qualcosa di umano che tuttavia ha come un frammento di divino, di eterno. La Madonna di Raffaello non è più un’opera d’arte, o meglio supera le vette sublimi raggiunte da Beethoven e Tolstoj, per scendere nell’inferno della vita, quello dei lager e dei gulag, a fianco dell’uomo, conferendo a quella stessa vita e quello stesso umano una nuova dimensione: «Accompagnando con lo sguardo la Madonna Sistina, continuiamo a credere che vita e libertà siano una cosa sola, e che non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo. Che vivrà in eterno, e vincerà». Forse è in questa cauta speranza, in questa sottile promessa di eternità, che va colto quel successo che sta portando Grossman, proprio nella nostra epoca, ad essere letto come un classico della letteratura.
Vasilij Grossman, Il bene sia con voi!, Adelphi, Milano 2011