Sembra necessario ribadire l’impegno culturale, sociale e politico per un sistema nazionale scolastico “libero” che riconosca il diritto alla libertà educativa e ne sostenga l’esercizio, dando risposte precise alla domanda formativa delle famiglie e alle attese che emergono nella comunità nazionale.
Ma noi in Italia abbiamo una scuola libera? Una scuola che autonomamente porti avanti un cammino formativo veramente libero? Sono domande ancora fortemente attuali. Domanda che nascono di fronte al permanere di una ottusità culturale e di una falsità ideologica che sconcerta. Nonostante la legge 62/2000 sulla parità, la legge 59/1997 sull’autonomia, le molteplici argomentazioni in convegni e in incontri, da parte di parlamentari e ministri, la situazione ci dice che ancor oggi nel nostro Paese non abbiamo una “scuola libera” e che laicamente si fa di tutto per ignorare il diritto alla “libertà di educazione”.
Resta ancora imperante, secondo quanto evidenziato da un documento dell’Epa (European Parent’s Association) inerente il progetto Euridice (1998), la convinzione che in Italia la scuola è libera, nel senso che c’è libertà completa di scelta in materia di istruzione, e che le famiglie sono libere di impartire l’educazione ai propri figli in scuole statali, in scuole private e a domicilio (il cosiddetto insegnamento paterno). Non solo: ma che, nonostante questa generosa libertà concessa alle famiglie, la maggioranza di queste sceglie le scuole statali. Siamo di fronte ad un gravissimo, inaccettabile falso ideologico che permane nella mentalità statalista che caratterizza il nostro Paese.
Occorre ampliare gli spazi di libertà dei diversi protagonisti del sistema scolastico – docenti, genitori, studenti, formazioni sociali – nell’ottica sorvegliata di chi ne verifica le responsabilità: cioè, ricuperare un sistema di istruzione fondato strutturalmente sulla libertà e sulla responsabilità delle persone e delle formazioni sociali nelle quali esse sviluppano la loro personalità.
Va attuata una concreta autonomia personale ed istituzionale. L’autonomia dovrebbe favorire l’iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. In quest’ottica si pone l’obbligo di una attenzione al significato di autonomia dato dalle identità presenti nella nostra società pluralistica. Non va taciuto che la gestione autonoma delle attività scolastiche si realizza con la valorizzazione delle diversità di ciascuna scuola. Da qui il carattere di complementarietà, che è il frutto di una ricerca di nuovi strumenti volti a garantire maggiore efficienza e maggiore efficacia dei servizi formativi ed educativi. Da qui la constatazione che l’autonomia del sistema scolastico riguarda tutte le scuole, nel rispetto di quella duplice autonomia del singolo e del gruppo, cioè della persona-individuo e della comunità di individui, e in perfetta rispondenza e sincronia con il “bene comune” attorno al quale la scuola stessa si costituisce: cioè il bene della cultura, della formazione e della trasmissione ordinata e sistematica del sapere umano, entro cui si arricchisce e rinnova il processo di sviluppo della personalità. Quel processo che, sì!, deve essere identificabile, ma comunque deve essere libero, autonomo (appunto) autodeterminato.
I termini che dovrebbero far riflettere sono quelli inerenti la Costituzione e che riguardano due aspetti importanti: la libertà di scelta e di proposta scolastica e l’equipollenza di trattamento. Ora, tutto quanto si riferisce a queste due condizioni sembra essere relegato nei meandri della più assoluta noncuranza. Infatti, in questi ultimi anni, si sono registrate situazioni assolutamente vergognose. La libertà di proposta formativa è considerata azione avulsa da ogni contesto egualitario; la scuola non statale più che accettata, viene sopportata e giorno dopo giorno crescono, da parte di chi decide a livello governativo e anche a livello locale, le azioni tese a metterne in difficoltà l’esistenza.
Solo alcuni esempi: nonostante l’impegno profuso nella realizzazione di un servizio alla comunità, la presenza della scuola non statale non viene sostenuta, ma spesso denigrata; i suoi studenti, e le loro famiglie, sono penalizzate economicamente dovendo sostenere un duplice esborso finanziario che spesso ne penalizza la stessa frequenza; i suoi insegnanti, pur abilitati, vengono esclusi dai benefici concessi, invece, ai docenti della scuola statale; i portatori di handicap che accedono alla scuola paritaria non hanno diritto al docente di sostegno, mentre viene concesso agli studenti della scuola statale; i progetti formativi della scuola paritaria vengono accolti e considerati solo se fatti insieme alla scuola statale, come se il valore della proposta non fosse la qualità del progetto ma la presenza della scuola statale; … e così via. Una discriminazione continua, culturalmente ottusa e socialmente ingiusta.
Permane uno sguardo strabico sulla libertà di educazione, di proposta formativa e di equipollenza di trattamento. C’è chi a livello parlamentare, di quando in quando, si esprime in favore di un sistema scolastico libero, e quindi più efficace e più efficiente, riducendo il proprio intervento a qualche affermazione di comodo, scevra, però, di consistenza operativa. Altri si esprimono in ordine ad un rinnovo del sistema scolastico, tuttavia sempre nella realizzazione di un unico modello organizzativo, pensando che nel nostro Paese, l’“istituzione scuola” è solo quella gestita dallo Stato. Possibile che non si riesca a far capire – particolarmente alla classe politica – che la scuola non può essere “espressione governativa”, e quindi quanto sia necessario sostenere un sistema nazionale orientato non al conseguimento di rendite politiche, ma al concreto sviluppo della cultura e al completo soddisfacimento delle aspettative dei cittadini. Il tutto in una prospettiva di scuola, non per tutti, ma di tutti!
Purtroppo, la sensazione è che in troppe persone resti, nonostante alcuni buoni propositi, il retaggio di una visione eticamente statalistica della scuola, che comunque si vuole debba rientrare tutta nelle finalità dello Stato, e che quindi “libertà” ed “equipollenza” non siano un diritto, ma soltanto mere concessioni statuali.