Le prove Invalsi di matematica e di italiano affrontate ieri, giovedì 12 maggio dagli studenti di prima media, finalizzate a rilevare gli apprendimenti essenziali relativi alla competenza di lettura, alla competenza matematica e alle conoscenze grammaticali, per alcuni docenti sono state l’ennesima occasione di lamento sulle cattive sorti della scuola italiana (soprattutto della scuola media, sulla quale ormai tutto il possibile negativo è stato detto), per altri invece si sono rivelate uno stimolo a interrogarsi e a giudicare con libertà il proprio lavoro.
Al di là di quanto si è giustamente detto a proposito della parzialità di tali prove nel valutare la situazione della scuola italiana, giacché molti e assai diversificati sono i fattori in gioco quando si voglia meticolosamente verificare e valutare lo sviluppo di competenze, conoscenze e abilità, le prove di prima media mettono in luce un aspetto culturale e pedagogico importante: la scuola dell’obbligo è tenuta a favorire innanzitutto lo sviluppo di alcune competenze, basilari e introduttive ad altre, affinché lo studente possa aprirsi alla conoscenza della realtà.
Innanzitutto la capacità di lettura, o meglio di interpretazione dei testi, la quale, data la loro natura segnica, implica non solo la conoscenza della lingua in cui sono prodotti, ma anche la capacità di operare inferenze, di trarre e collegare informazioni, di riconoscere i nessi tra i singoli dati testuali e il senso globale del testo, di cogliere l’intenzione comunicativa, di giudicare la validità delle affermazioni.
In secondo luogo il pensiero matematico: la scuola non ha appena il compito di insegnare una matematica utile, di sopravvivenza, bensì di introdurre alla matematica in quanto strumento di pensiero e disciplina con un proprio specifico statuto epistemologico. Così scriveva nel 1933 Pavel Florenskij a sua figlia, preoccupato della sua formazione, di cui non poteva occuparsi direttamente essendo imprigionato in un lager sovietico: “In generale cerca di far sì che le lingue, quella russa come quelle straniere, siano per te un suono vivo e non solo segni sulla carta. Ricorda pertanto di leggere ad alta voce anche gli scritti russi, se non interi, almeno in parte, cogliendo la perfezione del suono e il ritmo della costruzione, sia dal punto di vista sonoro, sia da quello contenutistico ed espressivo. Leggi immancabilmente a voce alta belle poesie, soprattutto quelle di Puškin e di Tjutcev; anche gli altri ascoltino, per imparare e riposarsi. Per la matematica, cerca non solo di ricordare semplicemente cosa e come fare, ma anche di capirlo e di apprenderlo come si apprende un pezzo musicale”.
“La matematica non deve essere nella mente come un peso portato dall’esterno, ma come un’abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere i rapporti geometrici in tutta la realtà e a individuare le formule in tutti i fenomeni. Chi è capace di rispondere all’esame e di risolvere i compiti, ma dimentica il pensiero matematico quando non si parla direttamente di matematica, non ha appreso la matematica”. (Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2000).
Mentre oggi gli studenti si cimentavano con sorprendente serietà nelle prove, in aula professori i docenti della scuola che dirigo, sfogliando i fascicoli, sono stati provocati a porsi la domanda forse più cruciale per un insegnante: in che misura e a quali condizioni il nostro lavoro quotidiano, l’insegnamento delle nostre discipline, favorisce negli studenti la capacità di osservare, denominare, ragionare sui testi, affrontare i problemi? Che corrisponde a chiedersi: quanto crediamo al valore dell’istruzione ai fini dell’educazione? Studiare grammatica, letteratura, matematica, storia (si aggiungano pure tutte le nobili discipline della nostra grande tradizione culturale, a cui si viene introdotti dalle materie scolastiche) contribuisce davvero alla formazione di una ragione viva, all’opera in tutti gli aspetti della vita?
Non uno dei miei docenti si è posto, fortunatamente, il problema di preparare gli studenti ad affrontare meglio le prove Invalsi, magari ricorrendo alle innumerevoli schede che le case editrici stanno diffondendo copiosamente (ve ne sono esemplari in vendita persino alle casse degli autogrill!). Le prove in questione sono solo uno dei tanti strumenti di valutazione – peraltro non del singolo studente, almeno nelle intenzioni per cui sono nate -, la cui forma sicuramente non può e non potrà mai sostituire la diversificata tipologia di verifiche che, di necessità, vengono redatte a partire dal concreto lavoro didattico. Ma non va sottovalutata la scelta di mettere alla prova la popolazione studentesca proprio sulle competenze sopra citate, perché realmente sono la chiave per addentrarsi in studi sempre più complessi: chi non è in grado di interpretare i testi, non ha padronanza della propria lingua e non sviluppa il pensiero matematico, non ha accesso al mondo dei saperi e non si educa a una capacità critica e argomentativa tale da permettergli di affrontare la vita da uomo.