“Dio non è mai raggiungibile. Questa fortuna tocca ai santi, ma io santo non sono. Attenzione, però: la mia non è una ricerca forzata. E’ naturale, come lo è il respiro. Ci sono persone che perdono per la strada questo soffio. Io lo sto recuperando”. Con queste parole, pronunciate solo pochi giorni fa in un’intervista ad Avvenire, Andrea Zanzotto indicava la ricerca che ha animato la propria vita terrena, che si è conclusa stamattina alle 11 all’ospedale di Conegliano per una crisi respiratoria. Aveva acqua nei polmoni e il respiro è venuto meno. Solo otto giorni fa aveva festeggiato il suo novantesimo compleanno nella casa di Pieve di Soligo e da qualche giorno era ricoverato nell’ospedale di Conegliano (Treviso).
Nato a Pieve di Soligo nel 1921, Zanzotto si era laureato in letteratura italiana nel 1942 con una tesi su Grazia Deledda. Fin dalla giovinezza fu mosso dalla passione per la musicalità delle parole, e anche per la Resistenza al fascismo: si era occupato infatti della stampa e della propaganda nelle file di Giustizia e Libertà. Ma fin dall’infanzia la sua vita è segnata dal dolore: per la perdita di due sorelle e per la sua salute cagionevole, a causa di problemi asmatici e allergici.
Andrea Zanzotto, sicuramente uno dei più grandi poeti contemporanei, fu scoperto da Ungaretti, Montale, Quasimodo, Sinisgalli e Sereni, che gli assegnarono il primo posto al Premio San Babila per la raccolta di poesie scritte tra il 1940 e il 1948, pubblicata nel 1951 con il titolo Dietro il paesaggio. Il 1959 fu un anno felice per Zanzotto che si sposò con Marisa Michieli e vinse il Premio Cino del Duca. Sempre in quell’anno pubblicò riflessioni sulla sua poesia intitolate Una poesia ostinata a sperare. L’attività di Zanzotto si dispiegò in vari ambiti: educativo, come insegnante e preside di una scuola media, letterario e critico con collaborazioni su diversi quotidiani e riviste come Il Caffè, Paragone, Nuovi Argomenti. Diversi viaggi in giro per l’Europa, soprattutto dell’est, allargarono il suo orizzonte. Intanto, nel 1968 pubblicò La beltà, considerata la raccolta più rilevante della sua opera. Nel 1979 vinse il Premio Viareggio con l’edizione della sua opera completa a quella data, raccolta in tre volumi con prefazione di Gianfranco Contini.
Negli anni’80 ancora un periodo difficile per la sua vita, segnato dalla depressione. Ma il poeta inizia a essere sempre più cercato, tradotto in francese e tedesco, sulla sua opera vengono pubblicati saggi critici, viene sempre più cercato per interviste e riceve diversi premi.
Ma il poeta, tranne sporadici viaggi, aveva deciso di trascorrere la propria vita nella semplicità e nella natura di Pieve di Soligo. Anch’essa deturpata dal progresso tecnologico e industriale, ma pur sempre un ritiro dove poter meglio condurre la propria ricerca. Non fuori dal mondo, ma una finestra aperta sul mondo, una posizione da cui poter riflettere meglio sulla realtà. E questa apertura è ben testimoniata dal suo linguaggio poetico, aperto a ogni tipo di contaminazione della società contemporanea e di massa.
Le sue poesie sperimentano diverse modalità espressive, dall’ermetismo, alla lirica elegiaca, alla neoavanguardia, e si sofferma spesso su aspetti autobiografici, spunti per una riflessione esistenziale.