Gli oceani sono responsabili di almeno metà del carbonio organicato sull’intero pianeta. Mentre sulla terraferma, i principali responsabili della produzione primaria sono gli alberi delle foreste, in mare, la produzione è quasi totalmente a carico di microalghe unicellulari (fitoplancton) che vivono in uno strato d’acqua compreso tra la superficie e la profondità raggiunta da una quantità di luce sufficiente per lo svolgersi della fotosintesi. I principali attori del processo fotosintetico sono quindi l’anidride carbonica disciolta in mare che fornisce il carbonio, la luce solare che fornisce l’energia necessaria e la clorofilla contenuta nelle microalghe che è in grado di usare l’energia luminosa per assemblare sei molecole di CO2 con altrettante di acqua in una molecola di glucosio mentre il surplus di ossigeno viene liberato. La CO2, in equilibrio con quella atmosferica, non è mai un fattore limitante per questo processo mentre, al contrario, l’acqua è spesso carente dei cosiddetti nutrienti, i vari elementi che, oltre a carbonio, ossigeno ed idrogeno, prendono parte nella composizione della sostanza organica.
In numerose aree oceaniche uno dei fattori limitanti è costituito dal ferro (Fe3+) il cui apporto al mare è di origine terrestre ma che, una volta in acqua tende ad essere aggregato a strutture colloidali e a scendere sul fondo essendo così sottratto alla formazione della sostanza organica. L’importanza della limitazione del ferro sulla produzione primaria marina è stata dimostrata tramite spettacolari esperimenti di concimazione attuati su vaste aree oceaniche (IRONEX I e II; Martin J et al., 1994 Nature, 371: 123-129; Coale et al., 1996 Nature, 383: 495-501).
D’altra parte fino ad oggi si è sempre pensato che il ferro presente nei silicati componenti le argille, il maggior costituente della crosta terrestre, fosse indisponibile per l’incorporazione nella sostanza organica. Recentemente però in rocce sedimentarie del Cambriano medio dell’Ovest degli Stati Uniti è stata osservata la crescita aggregata di quarzo pirite e calcite. Lo studio dettagliato delle condizioni in cui questi minerali si sono formati ha suggerito che la loro cristallizzazione sia avvenuta in seguito ad una, finora insospettata, dissoluzione microbica dei silicati che ha liberato, nell’acqua presente tra le particelle di sedimento del fondo, ferro e silice (Vorhies J.S. & Gaines R.R., Microbial dissolution of clay minerals as a source of iron and silica in marine sediments, Nature Geoscience ?Published online: 22 February 2009). Questa scoperta indica che, grazie all’intervento dei batteri, le riserve di ferro biodisponibile negli oceani sono molto più abbondanti di quanto si fosse creduto finora. Inoltre lega il ciclo del ferro a quello della silice; questi due nutrienti sono entrambi necessari allo sviluppo delle diatomee, il maggior componente del fitoplancton marino, caratterizzate da un rivestimento cellulare composto da silice opalina.
La capacità dei batteri di modificare i substrati minerali ancora una volta ci fa riflettere su quanto sia superficiale ed inesatta l’idea che la biosfera rappresenti solo una sottile pellicola, esterna, potremmo dire appoggiata, al substrato minerale, la litosfera. In realtà è facile rendersi conto che la vita continuamente interagisce con il suo substrato non vivente modificandolo ed essendone a sua volta modificata. Queste interazioni possono essere regolarmente reversibili, come avviene per i cicli biogeochimici di molti elementi o più strutturali come da milioni di anni accade per la deposizione di biominerali, principalmente carbonato di calcio, che hanno portato alla formazione di potenti complessi rocciosi oppure possono segnare punti di non ritorno nell’evoluzione complessiva del pianeta come quando, tre miliardi di anni fa le prime cellulle procarioti dotate di clorofilla iniziarono ad emettere ossigeno in un’atmosfera primitivamente riducente inaugurando, attraverso una complessa evoluzione, l’affermazione del metabolismo ossidativo.