Il 4 ottobre 2011 sarà ricordato come un giorno importante per la cosmologia. Quasi per un incrocio astrale (è il caso di dirlo!) due eventi di grande rilevanza si sono dati appuntamento: la decisione dell’Agenzia Spaziale Europea di approvare la missione EUCLID e l’attribuzione del Premio Nobel per la fisica a Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt e Adam G. Riess. Che cos’hanno in comune questi due eventi? Nientemeno che l’accelerazione dell’universo.
Nella sua versione moderna la cosmologia è una scienza giovane. Incomincia alla fine degli anni 1920 quando ci si accorse che lo spazio su larga scala non è statico, ma si dilata nel tempo. La scoperta è legata al nome di Edwin Hubble, che pubblicò i suoi risultati nel 1929, ma in realtà già nel 1927 George Lemaitre sulla base di dati raccolti da altri astronomi aveva pubblicato per primo la corretta interpretazione di quei risultati. Il messaggio, in breve, era che l’universo nel suo insieme è in espansione. Lemaitre e Hubble arrivarono a questa conclusione misurando la distanza e la velocità di una quarantina di galassie, le uniche accessibili ai telescopi di allora: più le galassie sono distanti tra di loro più si allontanano velocemente. Proprio come dei pois si allontanano tra loro su un piano che si dilata o sulla superficie di un palloncino che si gonfia.
Le equazioni della relatività generale di Einstein offrivano una naturalissima interpretazione teorica di quella osservazione, ma Einstein era alquanto perplesso da tutto ciò: per ragioni filosofiche infatti egli rifiutava l’idea di un universo in espansione, lo voleva a tutti i costi statico e immutabile. Tanto che introdusse nelle sue equazioni un termine, a cui diede il nome di “costante cosmologica”, compatibile con la sua teoria, il quale funzionava come una sorta di anti-gravità: aggiustando ad arte il suo valore otteneva l’effetto di “tenere fermo”lo spazio evitando così l’espansione. Ma presto i dati sperimentali di Hubble e dei suoi successori non lasciarono dubbi: l’universo non ne vuol sapere di rimanere bloccato. Più tardi Einstein disse che la sua invenzione della costante cosmologica “fu il più grande svarione” della sua vita.
Ma un genio finisce per dire cose interessanti anche quando sbaglia. Sta di fatto che 70 anni dopo, proprio grazie alla scoperta di Perlmutter, Schmidt e Riess, annunciata alla fine degli anni ’90, la costante cosmologica è ritornata di moda. Già da tempo i cosmologi cercavano di misurare espansione in epoche cosmiche sempre più remote per verificarne l’evoluzione temporale. L’idea era molto semplice: osservare il tasso di espansione per galassie lontane (il che equivale a sondare indietro nel passato in quanto la luce impiega molto tempo per arrivare a noi) e confrontarlo con l’espansione nell’universo vicino, cioè nel presente.
Ma come misurare con alta precisione velocità e distanze nella profondità del cosmo? Perlmutter, Schmidt e Riess ebbero l’idea vincente: utilizzare come “candele standard” un certo tipo di esplosioni stellari, note come “Supernovae di tipo Ia”. Queste hanno due caratteristiche fondamentali: sono i fari più luminosi dell’universo (come cento miliardi di Soli concentrati in un punto) e hanno tutte la stessa intensità. Grazie a queste proprietà le Supernovae Ia hanno permesso di misurare il tasso di espansione dell’universo relativamente giovane, a un’età di soli 6-7 miliardi di anni, e di paragonarlo con quello attuale, alla veneranda età di 14 miliardi di anni. Ed ecco la scoperta: oggi l’universo si dilata più rapidamente che in passato. In altre parole, l’espansione sta accelerando.
È un risultato assolutamente inatteso, contrario a ogni previsione. Tutti, ma proprio tutti, si aspettavano che l’espansione attuale dovesse essere più lenta che in passato, perché la gravità agisce come una forza di richiamo: l’espansione dell’universo dovrebbe rallentare proprio come un sasso scagliato verso l’alto rallenta la sua velocità sotto l’azione della gravità terrestre. Invece i risultati di Perlmutter, Schmidt e Riess hanno mostrato che l’universo si comporta come se il sasso, dopo una fase iniziale di rallentamento, incominciasse inspiegabilmente ad accelerare verso l’alto. L’energia che causa questa accelerazione è sconosciuta, tanto da essersi guadagnata il nome di “energia oscura”. I calcoli mostrano che essa costituisce nientemeno che i tre quarti del contenuto di materia-energia dell’universo.
Il risultato, per quanto sconcertante, è robusto perché viene da due team indipendenti. Brian Schmidt della Australian National University, e Adam Riess della Johns Hopkins University, hanno guidato il progetto High-z Supernova Search, fondato una decina di anni fa. Prima di loro, alla fine degli anni 80, Saul Perlmutter del Lawrence Berkeley Laboratory (LBL) diede vita al Supernova Cosmology Project insieme a Richard Muller e Carl Pennypacker. Ricordo che il loro gruppo stava al sesto piano del Building 50 del LBL, mentre al quinto c’era il nostro gruppo guidato da George Smoot, che il premio Nobel lo ha vinto nel 2006. Certo allora mi rendevo conto di essere capitato in una grande scuola, ma non immaginavo che sia George che Saul avrebbero vinto il Nobel! Di Saul e del suo team mi colpiva l’entusiasmo e la determinazione, più forte della frustrazione dei primi tempi: inizialmente infatti il ritmo di scoperte di nuove Supernovae era 10 volte inferiore al previsto. C’era già chi voleva chiudere l’esperimento, ma fortunatamente ciò non avvenne e nel giro di qualche anno incominciarono ad accumulare statistica fino all’annuncio della scoperta dell’accelerazione nel 1999.
Se i risultati di Lemaitre e Hubble sull’espansione dell’universo avevano messo in crisi Einstein, la scoperta dell’accelerazione di Perlmutter, Riess e Schmidt ha messo in crisi una intera comunità scientifica. E le loro misure hanno riportato alla ribalta la costante cosmologica di Einstein, da lui stesso rigettata. Ma questa volta non per “tener fermo” l’universo, ma al contrario per spiegare la sua accelerazione. Infatti valori opportuni della costante cosmologica possono produrre un eccesso di “anti-gravità” con l’effetto di accelerare l’espansione, proprio come il sasso che accelera dopo il lancio verso l’alto.
Ma la natura fisica di questo fenomeno è oggi fra i più grandi misteri irrisolti della cosmologia e della fisica fondamentale. E’ davvero prodotta da un termine costante? Qual è la sua origine? Che evoluzione può avere? Se l’accelerazione perdurasse, prima o poi (questione di qualche miliardo di anni …) tutte le galassie e ultimamente tutte le strutture finirebbero per scomparire e dissolversi, con temperature sempre più basse. Ma potrebbe anche succedere che l’accelerazione si arresti trasformandosi in una implosione cosmica. Semplicemente non sappiamo. I giochi del cosmo sono aperti come non mai.
Mentre scrivo sono sull’aereo da Parigi a Linate, reduce dalla riunione del Science Programme Committee dell’ESA che proprio oggi, 4 ottobre, era chiamato a selezionare la prossima missione spaziale per un lancio previsto nel 2018. La scelta è andata sulla missione EUCLID, dedicata proprio a misure di precisione dell’accelerazione dell’universo. La notizia dell’assegnazione del Nobel è arrivata mentre eravamo riuniti: difficile dire quanto abbia pesato sul voto delle delegazioni nazionali, ma certo non ha nuociuto. EUCLID sarà in grado di studiare le proprietà dell’energia oscura costruendo una mappa tridimensionale dell’universo con oltre un miliardo di galassie (altro che le 40 galassie di Hubble!), di cui 10 milioni ad alta precisione, con osservazioni nella luce visibile e nell’infrarosso. Inoltre i dati di EUCLID incrociati con quelli di PLANCK permetteranno di raccogliere nuovi elementi sugli albori della storia cosmica, fino alle prime frazioni di secondo. Insomma, oggi è stato davvero un bel giorno per chi ama l’universo.