Dieci anni di vacche grasse, ma anche di vertiginoso e costoso cambiamento, e poi una picchiata da si salvi chi può. Forzando un po’ i toni è quello che s’intravede per il futuro dell’auto, a incrociare gli ultimi ragionamenti pubblici di Sergio Marchionne – certo tra i più lucidi del suo settore e anche tra i più visionari, per quanto non si possa mai sapere se dica tutta la verità, o solo una parte o solo una verità di comodo; con le ultime analisi in materia avanzate da Jeremy Rifkin, l’ultimo e il più grande dei futurologi, uno che quando vent’anni fa scrisse “L’era dell’accesso” previde sia la civiltà della Rete, sia la crisi delle telco.
Dunque, cosa dice Rifkin? “Sono ottimista, perché i giovani non vogliono più avere la macchina, vogliono avere accesso al car sharing usando lo smartphone. Bastano dieci minuti per trovare una macchina adatta con lo smartphone. Costa meno che possederne una, perché bisogna avere la macchina se si può avere questo? Ci sarà un nuovo tipo di modalità nei prossimi 30 anni. Per ogni macchina condivisa eliminiamo 15 macchine dalla produzione. Questo significa la fine della catena di montaggio”.
Ora, facciamo la tara su quell’eterno ottimismo yankee che perfino un uomo intelligente come Rifkin manifesta, anche quando dice cose stravolgenti come il vaticinio sulla fine della catene di montaggio, e vediamo che c’è “dentro” la previsione. C’è una decimazione della produzione di auto. Se non una a quindici, una a dieci. Magari usate a tempo pieno anziché lasciate in garage, e quindi soggette a una più alta velocità di rottamazione. Ma uno scenario del genere significa dimezzare la capacità produttiva installata nel mondo, Cina e India comprese.
Questa faccenda del car-sharing dell’avvenir lascia però perplessi la maggior parte di noi, automobilisti d’ordinanza. Che in fondo consideriamo l’automobile di famiglia come un “vano in più” dell’appartamento. Ci lasciamo dentro i peli del cane, i vasetti con le piantine di gerani da trapiantare sul balcone, l’Arbre Magic che preferiamo. Impensabile condividerla con degli sconosciuti. Impensabile privarsi della proprietà esclusiva del mezzo.
Oggi. Ma calma un attimo. Cosa sta succedendo nella tecnologia dell’automobile? Tre megatrend. Il primo è l’elettrificazione. Ovvia: vero che l’inquinamento da produzione di energia elettrica cresce, ma centralmente (cioè nelle centrali, molto meglio filtrabili) mentre quello da emissioni gassose periferiche scende. Inoltre se la scorsa settimana la Germania per la prima volta ha vissuto una giornata in cui le fonti rinnovabili hanno complessivamente prodotto e messo in rete più elettricità delle fonti fossili, significa che eolico idroelettrico e fotovoltaico si avviano a mettere in rete direttamente sempre più energia elettrica prodotta a emissioni zero. Certo, il riciclaggio della batterie inquina: ma il loro smaltimento funziona ed è un buon business. Quindi, auto elettrica tutta la vita: ma non c’entra con il car-sharing caro a Rifkin.
Non attiene a questo tema neanche il secondo megatrend, cioè il dimezzamento dei costi del processo produttivo dell’auto, con la fine delle scocche dedicate ciascuna a una classe di modelli e l’ibridazione produttiva dei materiali (compositi con metalli) e dei macchinari (siderurgici e “additivi”, le famosi stampanti 3D). Il costo delle piattaforme si dimezzerà, la personalizzabilità dei modelli decuplicherà. Serviranno molti soldi, all’inizio, per fare tutto questo e una volta fatta la riconversione molti se ne risparmieranno. Ma nemmeno questo c’entra col car-sharing.
Con esso c’entra invece l’altro mega-trend, l’auto self-drive, che si guida da sola. Gli scettici – atteggiamento sempre sano – prima di archiviare si guardino un test di parcheggio automatico di una delle tante berline medie in commercio che già lo fanno, e cambieranno idea. Ma quando l’auto-che-si-guida-da-sola sarà in strada davvero, cadrà il legame affettivo che oggi salda l’automobilista alla sua vettura. Sarà normale, e preferito, salire su un veicolo estraneo, programmare la destinazione e intanto leggere sul tablet o chiacchierare distratti. E a quel punto sì che la profeziona di Rifkin si avvererà.
Per le industrie automobilistiche desiderose di arrivare sane e ricche a quella scadenza e poi di sopravviverle, il futuro va preparato da adesso, ed è ciò che Sergio Marchionne sta facendo. Con le modalità ruvide e istrioniche che gli si conoscono, ma con un successo che per converso gli aliena le simpatie dei colleghi. Marchionne che non credeva all’auto elettrica ne sta immettendo di ottime nella sua gamma; ed è stato il primo a firmare un accordo serio con Google sulla self-drive.
Logico che il suo datore di lavoro, John Elkann, se lo tenga ben stretto e abbia approfittato dell’assemblea di Exor per dire che il manager “non lascerà Fca prima del 2019. Aspettare l’approvazione dei risultati del 2018 vuol dire arrivare al 2019”. “Il percorso di selezione per il suo successore – ha aggiunto Elkann – avverrà all’interno, stiamo lavorando. Io non farò parte dei candidati alla carica di amministratore delegato”. Sembra di risentire il nonno, Gianni Agnelli, quando a proposito del “suo” Marchionne, Cesare Romiti, diceva: “Dopo Romiti, un gemello di Romiti”.
Quel che nell’ultimo anno è sembrato cambiare, nel mondo Fiat, è proprio il clima attorno al capo. Se un anno fa si scommetteva sui suoi piani segreti – scalare la Fca? Scalzare Mary Barra da General Motors? – oggi sembra pacifico che Marchionne, padrone delegato più che amministratore delegato di Fca, stia semplicemente pensando a fare il suo lavoro, talmente complesso da assorbire al 101% anche un visionario un po’ matto e molto dittatoriale come lui. Ha in mente un sacco di cose da fare, e gli piace pure.