L’anno scorso, quando in un porto italiano è stata fermata una nave proveniente dalla Grecia che trasportava grano con sospetti additivi alimentari nocivi, ci sono voluti quindici giorni per completare le analisi: nel frattempo la nave era già arrivata in Argentina. Ora, grazie a una serie di studi eseguiti all’università di Parma con l’ausilio di potenti metodi computerizzati, questi tempi dovrebbero drasticamente ridursi.
È uno dei risultati delle ricerche del gruppo guidato da PietroCozzini presso il laboratorio di modellistica del dipartimento di chimica e che opera all’interno della rete che collega numerosi laboratori universitari e di vari enti distribuiti in Emilia Romagna, orientati alla garanzia del controllo di qualità dei prodotti alimentari e quindi della salute della gente: un’intensa attività che poi converge su Parma, capitale della Food Valley italiana e sede dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).
Il laboratorio di modellistica studia le interazioni tra le varie molecole tramite simulazioni e elaborazioni complesse, realizzate con potenti computer; si occupa in particolare delle molecole biologiche, in collaborazione con colleghi biochimici, utilizzando programmi speciali, sviluppati appositamente anche in collaborazione con gruppi americani dell’università della Virginia, che servono per valutare l’energia in gioco nell’interazione tra due molecole. I chimici di Parma applicano il loro approccio allo studio di nuovi ipotetici farmaci o di nuovi inibitori di molecole biologiche, proteine ed enzimi. Da questa attività è nata la ricerca che viene ora presentata nella rivista internazionale Chemical Research in Toxicology col titolo: “Identification of Xenoestrogens in Food Additives by an Integrated in Silico and in Vitro Approach”.
All’intero di questa rete che gravita su Parma, il gruppo di Cozzini si è interessato all’identificazione degli estrogeni, anche perché il suo laboratorio si occupava già da tempo del recettore degli estrogeni in vista dello sviluppo di possibili nuovi farmaci: il recettore degli estrogeni è uno dei più antichi, coinvolto nella trasmissione di segnali tumorali; un processo molto complesso, di cui si conoscono solo alcune parti. «Siamo partiti – dice Cozzini – da questo presupposto: le sostanze che troviamo nel cibo, siano esse residui di lavorazione o altri agenti inquinanti, come le micotossine, che comunque hanno a che fare con il recettore degli estrogeni, possono e devono essere soggette a maggiori investigazioni perché potrebbero intervenire nella trasmissione di un segnale tumorale».
I suoi colleghi biochimici sottolineano peraltro che il recettore degli estrogeni ha una risposta diversa nelle donne in età di menopausa, diversa in base ai diversi soggetti e quindi determina insorgenze tumorali diverse. Tanto è vero che i farmaci usati attualmente come anti tumorali erano partiti inizialmente da uno studio per una possibile limitazione dell’osteoporosi. «Il recettore degli estrogeni è in continuo movimento e presenta una cavità che può ospitare alcune molecole di additivi alimentari potenzialmente dannosi. Allora abbiamo iniziato a studiare queste potenziali interazioni. Abbiano utilizzato la banca dati dell’organismo internazionale che si occupa della definizione degli additivi alimentari permessi e che contiene 1500 composti, dagli aromatizzanti ai coloranti più o meno naturali, agli anti muffa e così via. Tutte molecole molto piccole, sulle quali abbiamo fatto uno screening per arrivare a isolarne 500; dopo di che abbiano definito 32 composti che secondo noi potevano interagire col recettore degli estrogeni».
Utilizzando la tecnica del Virtual Screening, i ricercatori possono fare una valutazione “in silico”, cioè su modelli matematici computerizzati, circa il possibile legame del composto col recettore; ciò permette di individuare i composti sospetti che poi vengono sottoposti ai test “in vitro” e successivamente a quelli “in vivo” su cavie animali. «Poi bisognerà capire quali di quelli che si legano sono effettivamente pericolosi, cioè quali inibiscono o attivano il recettore. Col computer questa attività di screening e validazione viene notevolmente velocizzata».
Il numero di composti da esaminare è enorme: basti pensare, ad esempio, che le micotossine sono presenti in tutti i mangimi per animali; ma non ci sono solo gli additivi: ci sono anche i contenitori e tutti quei materiali coinvolti nel processo di produzione e confezione alimentare. Sono quindi necessari metodi molto precisi per individuare tutte queste sostanze, ricorrendo anche a nuovi tipi di sensori chimici (chemosensori), meno costosi dei più sensibili biosensori, con capacità molto specifiche e selettive, adattate di volta in volta alle molecole che si devono individuare.
Dopo la fase di analisi entrano in gioco un insieme di tecniche combinate e integrate, che coinvolgono una pluralità di competenze disciplinari, che consentono di mettere a punto innovativi strumenti da campo per poter selezionare in tempo reale, là dove serve, le partite e i lotti di alimenti accettabili e bloccare quelli pericolosi.
E i ricercatori dell’università di Parma lavorano anche con i più famosi colleghi del RIS, resi familiari dalla fiction televisiva, con i quali da anni collaborano in un Master di scienze forensi. Tra le ricadute di queste ricerche sugli xenoestrogeni ci sarà anche la validazione di nuovi metodi per rivelare tracce di metaboliti, ovvero di sostanze che partecipano alle reazioni chimiche all’interno dell’organismo, che possono costituire preziosi indizi nelle indagini poliziesche.