Con il voto di fiducia al Senato la legge sulla Buona Scuola ha praticamente concluso l’iter parlamentare poiché il passaggio alla Camera dovrebbe essere solo una formalità, dati i tempi, senza modifiche e con l’approvazione di un testo ormai blindato.
Dal punto di vista della scuola paritaria la lettura del maxi-emendamento approvato presenta più ombre che luci, ma questo, purtroppo, non è una novità. La discussione nelle Commissioni e in Aula ha confermato quanto siamo ancora lontani da una consapevolezza dell’esistenza di un sistema unico di istruzione e formazione cui fanno parte, con pari dignità, scuole statali e scuole paritarie, e questo porta a legiferare avendo sempre in mente il modello organizzativo della scuola statale, senza tener conto delle diverse esigenze organizzative della scuola paritaria.
L’esempio principe, in questa occasione, è la soluzione al grave vulnus presente nel testo uscito dalla Camera che, come ho dettagliatamente spiegato in un mio precedente articolo, metteva a rischio la possibilità di assunzione di nuovi docenti abilitati da parte delle scuole paritarie. La soluzione prevista nel comma 181 punto 3.4 offre “la possibilità per coloro che non hanno partecipato o non hanno vinto i concorsi nazionali di cui al numero 2, di iscriversi a proprie spese ai percorsi di specializzazione per l’insegnamento secondario di cui al numero 3.1”, ossia mantiene in vita i Tfa. Per questo risultato vanno ringraziati coloro che si sono battuti per trovare una soluzione ed in primis il sottosegretario Toccafondi, ma rimane l’amarezza pensando al “non ascolto” di una proposta emendativa che chiedeva di utilizzare la stessa procedura proposta nella legge per i docenti statali: assunzione a tempo determinato nella forma di apprendistato professionalizzante, obbligo di frequenza il primo anno per il conseguimento del diploma di specializzazione il cui conseguimento permetteva la trasformazione dell’assunzione a tempo indeterminato.
Troppo simile a quanto previsto per la scuola statale! Ci si scontra sempre con il rifiuto a considerare la scuola paritaria sullo stesso piano con pari dignità: ribadisco, che amarezza…
Un secondo punto che evidenzia il “modus” di legiferare si nota al comma 150, quello, per intenderci, che ha confermato il “contrappeso politico” all’estensione della detrazione fiscale per le famiglie i cui figli frequentano la scuola secondaria superiore paritaria con la solita “falsa motivazione” che non si possono dare soldi ai diplomifici dimenticandosi, tra l’altro, che le detrazioni sono un contributo alle famiglie e non alle scuole. Questo comma prevede di avviare controlli utili a verificare la conservazione dei requisiti necessari per il mantenimento della parità (procedura normale già prevista per legge) ma contiene, in aggiunta, qualche punto come la coerenza del piano triennale dell’offerta formativa e la copertura contabile, che ricordano giuste esigenze dell’organizzazione statale.
Il terzo punto, anche se si sapeva essere una battaglia persa in partenza, è l’aver mantenuto al minimo, ossia a euro 400, il tetto delle detrazioni che porta al simbolico vantaggio fiscale di 76 euro per ogni figlio.
Un ultimo punto è la possibile bomba ad orologeria che si potrebbe innescare con l’avvio dell’assunzione dei 100mila precari a partire da settembre e che potrebbe avere la necessità di tempi lunghi, quindi di qualche mese. Se i decreti delegati, utili a dare le indicazioni applicative, non conterranno qualche norma transitoria, il grave rischio di chiamata di docenti dalla scuola paritaria ad anno non solo iniziato ma avanzato è grande, con tutte le conseguenze negative sugli aspetti organizzativi delle nostre scuole e relativi danni, ben comprensibili, e che evito di elencare.