Negli scorsi giorni, l’edizione americana dell’Oxford Dictionary ha annunciato quella che per i suoi autori è la parola dell’anno 2016: post-truth. Il termine post-truth (che in italiano può essere reso con l’espressione “oltre la verità”) “denota o si riferisce a circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno influenti degli appelli a emozioni e credenze personali nel formare l’opinione pubblica”.
Si tratta di un’intonazione del dibattito pubblico per la quale si tende progressivamente a trascurare i fatti a favore delle percezioni e di informazioni parziali, non oggettive e non verificate, delle quali le reti sociali — virtuali e non — possono essere una fonte inesauribile. Di solito, quando voglio esemplificare nell’ambito di una discussione il concetto di post-truth faccio riferimento alle posizioni degli anti-vaccinisti che rigettano decenni di studi comprovati e periodicamente ri-verificati nell’ambito della comunità scientifica a favore di evidenze aneddotiche, teorie complottiste sulla pervasività degli interessi di big pharma, pseudo-studi scientifici condotti da persone senza alcun titolo e liberamente disponibili sul web.
Ebbene, da oggi, grazie a Silvia Ballabio e al suo articolo intitolato “Se la scelta (reale) dei genitori funziona meglio di Eduscopio” e pubblicato su questo giornale, posso fare riferimento a un caso di atteggiamento post-truth alternativo all’esempio, devo ammettere, un po’ trito degli anti-vaccinisti.
La tesi di fondo dell’articolo è che non abbiamo bisogno di dati oggettivi sulla qualità delle basi formative offerte dalle scuole secondarie di II grado italiane, basta fidarsi delle proprie percezioni, del passaparola, dell’impressione epidermica avuta agli open day e, chissà, forse anche della simpatia del/la dirigente scolastico/a (o del/la professore/ssa che esercita la funzione orientativa in ingresso). Fidiamoci di quello che ci raccontano, prendiamolo a scatola chiusa, e soprattutto fidiamoci di noi stessi, del nostro istinto e delle nostre sensazioni. Tutto andrà per il meglio, perché sono questi i parametri davvero “reali” e i genitori li conoscono, li dominano e li capiscono bene. Tutto ciò, nonostante il dilagare della “debolezza genitoriale” denunciato dalla stessa Silvia Ballabio in un altro passaggio del suo articolo. Ma, va be’, non si può avere tutto dalla vita.
Ebbene, l’ente che dirigo, la Fondazione Agnelli, collabora su base quotidiana con diverse scuole per sviluppare progetti di innovazione didattica, contrasto alla dispersione scolastica, inclusione degli allievi con disabilità. E il nostro lavoro ci porta spesso in giro per saloni dell’orientamento e open day. Quello che abbiamo visto nel corso degli anni è che a fronte di dirigenti e docenti che svolgono il proprio lavoro con scrupolo e dedizione e, tra mille difficoltà, cercano di renderne partecipi le famiglie, ve ne sono altri che hanno semplicemente imparato ad usare con particolare maestria alcuni strumenti di marketing scolastico.
Alcuni esempi. Ti faccio vedere le foto o il video di un avanzatissimo laboratorio di robotica fatto da alcuni miei studenti spacciandola come una condizione operativa costante nella mia scuola, quando invece si tratta di un’attività limitata all’ultimo anno di corso, di una sola classe, di una particolare sezione con una specifica curvatura del curricolo e realizzata grazie alla buona volontà di un docente. Oppure, ti faccio vedere i magnifici risultati raggiunti da due miei studenti alle Olimpiadi della matematica o al Certamen, lasciando intendere che la mia scuola non faccia altro che sfornare geni della matematica e della lingua latina. Ancora, ti parlo delle magnifiche e progressive sorti dei miei studenti immatricolati nei migliori atenei italiani ed esteri o assunti già prima che si diplomassero dalle imprese con cui la mia scuola ha intessuto rapporti di collaborazione strutturatissimi, senza produrre uno straccio di dato e quando va bene esibendo qualche testimonial.
Il portale eduscopio.it che indaga le performance dei diplomati all’università e sul mercato del lavoro, e che tanto fa inorridire Silvia Ballabio, altro non è che uno strumento messo a disposizione delle famiglie per ponderare queste affermazioni. Offre un riscontro oggettivo, empirico e chiaro alle affermazioni fatte dalle scuole negli open day o negli incontri con le famiglie. E lo fa basando le proprie analisi sugli esiti di tutti i diplomati e non dei 3-4 casi di eccellenza.
In questo svolge una funzione “complementare” e non “sostitutiva” rispetto alle informazioni già reperibili da altri canali ufficiali (si pensi al ricchissimo sito del Miur, la Scuola in Chiaro) o in forma diretta dalle scuole stesse. Eduscopio.it non è mai stato pensato né presentato come LO strumento di scelta, ma come UNO degli strumenti di scelta e centinaia di migliaia di famiglie lo usano ormai da anni in questo senso.
Sì, perché eduscopio.it rende disponibile questa informazione in forma gratuita e a tutti. A differenza del “passaparola” che tanto piace alla Ballabio e che invece favorisce solo circoli ristretti e ceti sociali culturalmente avvantaggiati.
Certo i dati hanno un terribile difetto: sono antipatici perché permettono di misurare il grado di affidabilità delle affermazioni, delle opinioni e delle percezioni individuali. E, si sa, a fronte di qualche giusta intuizione confermata, ci sarà sempre qualche mito sfatato col quale tocca fare i conti. Ma sarebbe ingiusto pensare che Silvia Ballabio abbia maturato questa sua opinione su eduscopio.it per via di un “reality check” troppo severo.
È più probabile che il giudizio di Silvia Ballabio su eduscopio.it nasca invece da una cattiva informazione della quale è stata vittima. Altrimenti sarebbe difficile giustificare un’accusa che muove allo strumento che dovrei considerare infamante, se non fosse poco seria: quella secondo la quale in eduscopio.it vi sarebbe “assenza di trasparenza nella costruzione dei correttivi necessari per la comparabilità di percorsi universitari diversi”.
Sono sorpreso dal fatto che Silvia Ballabio, che pure si reputa attenta e avvertita, non abbia avuto modo di leggere il documento tecnico che accompagna eduscopio.it e che è reso disponibile sul portale. Riporto qui il link per sua comodità nel caso le fosse sfuggito: a pagina 10 troverà un paragrafo che s’intitola “Primo step: la standardizzazione delle misure di outcome” nel quale viene descritta passo dopo passo tutta la procedura statistica adottata per normalizzare i voti universitari. Sono 4 paginette di formule e tabelle che una lettrice attenta come la Ballabio non avrà difficoltà a scorrere. Ovviamente, se avesse qualche dubbio residuo, la invitiamo a raggiungerci in Fondazione dove ripercorreremo insieme tutta la procedura econometrica, guarderemo insieme tutti i numeri e potrà darci i giusti suggerimenti per perfezionare lo strumento fino a renderlo infallibile. Come le sue percezioni.