Il colloquio sta chiudendo gli esami di Stato e fornisce alcuni importanti spunti di riflessione che bisognerebbe non lasciarsi sfuggire. Nel colloquio infatti si vede che tipo è l’insegnante di oggi; per questo il colloquio è un momento di notevole importanza, perché più che essere il punto di verifica degli studenti ci consegna la tipologia dell’insegnante.
Bisogna avere il coraggio di dirlo: la riuscita del colloquio nel quale sono impegnati i maturandi dipende in gran parte dall’insegnante, se sia disposto a valorizzare quello che uno studente o una studentessa vuole comunicare, se sia teso a scoprirne la positività oltre che la preparazione e con le sue domande faccia di tutto per contribuire a farlo emergere. Questo è decisivo in un colloquio, trovare sei insegnanti che vogliono scoprire per sé quello che la persona che si trovano davanti ha da raccontare, l’umano di cui è costituita la fibra di una preparazione. Qui sta il fattore in più di un colloquio, quello che lo fa diventare un’esperienza: che un insegnante si aspetti qualcosa per sé, che avverta in quello che uno studente presenta o risponde qualcosa di nuovo per sé, per la propria umanità.
E perdonatemi, questa è la cosa più difficile da trovare: un insegnante che affronti l’esame cercando qualcosa per sé stesso!
Infatti spesso, in modo contraddittorio, emerge una tipologia di insegnante che affronta l’esame per mettere in difficoltà lo studente, per trovare il punto cui appoggiarsi per farlo cadere, per dimostrare che lui — l’insegnante — ne sa più dello studente. Sono insegnanti così che fanno fallire il colloquio, insegnanti che credono di sapere, che partono dal presupposto che una ragazza o un ragazzo di oggi non abbiano nulla da insegnare. Per questo spesso assistiamo a colloqui che non hanno nulla a che fare con il termine stesso “colloquio”, che dovrebbe implicare una interazione, una relazione tra persone. Ma se un professore di oggi parte dal fatto che lui deve interrogare senza avere nulla da imparare, che cosa può uscire di interessante da un colloquio? Sarà un imperversare di domande per dimostrare che quel ragazzo o quella ragazza non sa. Qui sta la meschinità di tanti colloqui, che più che far emergere l’umano, lo annichiliscono, lo ingabbiano, lo deprimono. Se questo accade, molto, troppo spesso non è perché i ragazzi e le ragazze d’oggi ne siano privi, ma perché ad un insegnante di oggi quel fattore umano non interessa.
Così, il fallimento del colloquio è quasi sempre responsabilità dell’insegnante, è dovuto al fatto che lui, o lei — insegnante — lo ha affrontato solo per giudicare e non anche per imparare. Questi due termini, lungi dall’essere in opposizione, andrebbero ribaltati, perché solo chi è disposto ad imparare sa anche giudicare.
Qui sta la meschinità di tanti colloqui, che più che far emergere l’umano, lo annichiliscono, lo ingabbiano, lo deprimono. Se questo accade, molto, troppo spesso non è perché i ragazzi e le ragazze d’oggi ne siano privi, ma perché ad un insegnante di oggi quel fattore umano non interessa. Così, il fallimento del colloquio è quasi sempre responsabilità dell’insegnante, è dovuto al fatto che lui, o lei — insegnante — lo ha affrontato solo per giudicare e non anche per imparare. Questi due termini, lungi dall’essere in opposizione, andrebbero ribaltati, perché solo chi è disposto ad imparare sa anche giudicare.