Se si demolissero le possenti mura dell’antica fortezza slovacca di Leopoldov, destinata dopo il 1948 a ospitare come carcere di massima sicurezza i «nemici del popolo», si potrebbero trovare ancora poesie e altri testi nascosti sotto l’intonaco da scrittori, teologi, professori, condannati a lunghe pene detentive durante i processi-farsa dell’epoca staliniana. Fra costoro occupa un posto particolare il poeta cattolico Václav Renc, di cui quest’anno ricorre il centenario, essendo nato il 18 novembre 1911 a Vodochody, a nord di Praga, in una famiglia di modeste origini.
Václav si laurea nel ’36 con una tesi su Bergson, e nello stesso anno sposa Alena Sedláková, una giovane di famiglia benestante, dalla quale avrà tre figli. Risale all’inizio degli anni ’30 la conversione del giovane dall’hussitismo al cattolicesimo, che costituirà per lui la fonte di ispirazione e il sostegno quotidiano durante gli anni di detenzione, penetrando tutta la sua opera. La prima raccolta di poesie, Fermenti (1933), è recepita favorevolmente dalla critica. Durante l’occupazione nazista si dedica alla traduzione e alla stesura di opere teatrali.
Nel dopoguerra la famiglia Renc va a vivere a Olomouc dove Václav, pur non potendo pubblicare a causa del veto politico imposto dal Sindacato degli scrittori, lavora per il teatro. Ma già allora la stampa comunista, forte dell’appoggio riscosso nella società grazie al contributo dell’Armata Rossa nella liberazione della Cecoslovacchia, si scaglia contro l’editoria cattolica, accusandola falsamente di aver collaborato con gli occupanti tedeschi. Vengono colpiti gli autori di ispirazione cristiana che rifiutano di uniformarsi ai dettami del realismo socialista.
Il 21 maggio 1951 anche Renc viene arrestato e condannato a 25 anni di carcere, da scontare inizialmente a Leopoldov, dove sono detenute numerose personalità della vita culturale, religiosa e politica che avevano contribuito alla nascita della prima repubblica cecoslovacca. «La lavorazione della piuma – ha scritto un ex detenuto – può trasformarsi in occupazione profondamente intellettuale… La piuma umida e fetida viene rovesciata sui tavoli, illuminati da deboli lampadine… A un tavolo, un prete insegna l’inglese… a un altro tavolo si decide la pastorale futura della nostra Chiesa. Si parlava dell’infallibilità papale, delle sfumature della filosofia tomista, del Big Bang e dell’evoluzione».
Negli anni di carcere Renc compone tre affreschi di tematica mariana: La cenerentola di Nazaret, Leggenda praghese e La luce di Loreto. Lo stimolo per queste composizioni è l’esperienza del carcere, il significato di questa prova alla luce della fede, il desiderio di resistere e sopravvivere. La Cenerentola di Nazaret è un poema di oltre mille versi tutti in rima, uscito da Leopoldov e ricomposto grazie alla memoria dei compagni di detenzione. «I suoi versi – ricorda B. Rejman – circolavano segretamente fra i detenuti, molti se li imparavano a memoria, erano un sostegno per tutti coloro che non volevano lasciarsi sopraffare». Maria è l’«umile Cenerentola» destinata dalla Provvidenza a diventare Regina. Renc rilegge poeticamente gli avvenimenti biblici presentandoli in una sorta di catechismo rimato.
La luce di Loreto presenta le litanie lauretane in forma di meditazioni poetiche. L’io lirico non si accontenta di denunciare l’ingiusta condanna subita ma, conoscendo la fragilità umana in balìa del peccato, è grato dell’esistenza di «Uno più grande» capace di penetrare le tenebre e destare l’anima dal torpore.
Il testo della Leggenda praghese si riferisce alla distruzione della colonna mariana in piazza della Città Vecchia a Praga nel 1918. Renc prende ispirazione dalla figura di Franta Sauer, uno di coloro che avevano partecipato all’azione. Sauer era poi morto in un ospedale gestito dalle suore, dove si era pentito e aveva ricevuto l’estrema unzione. Il poeta non giudica il suo gesto, preferisce seguire lo sviluppo interiore del personaggio fino alla conversione.
La fede di Renc è quella dei semplici, e a loro sono indirizzate le sue poesie-preghiere che, in lingua originale, hanno una musicalità e un ritmo che le rendono piacevoli e fresche, come filastrocche per bambini. «Come autore – confidò, – di natura mi reputo un sintetizzatore, un armonizzatore, e dunque mi è fortemente estranea la mentalità dominante scettica, ironica e analitica».
Nel ’62 Renc è finalmente rimesso in libertà, ma ha la salute compromessa. Benché ancora all’indice, può impiegarsi come drammaturgo al teatro Stibor di Olomouc, mentre riprende a lavorare ai suoi testi: scrive nuovi versi e pièces teatrali, traduce poesie e drammi (Petrarca, Shakespeare, i greci, Ibsen, Goethe…), scrive per il teatro delle marionette, rielabora il cantorino e si dedica alla traduzione poetica dei salmi.
Nel 1968, nei mesi euforici della Primavera di Praga, può finalmente tornare a pubblicare, escono altre liriche composte in carcere e la sua traduzione diStille Nacht, ma dal 1970 viene di nuovo censurato, e nel ’73 muore. Invano si cercherebbero antologie sue o di altri poeti cattolici cechi in traduzione italiana, mentre possiamo leggere autori che, prima di convertirsi al dissenso, negli anni 50 inneggiavano a Stalin. «Non ho fatto parte di coloro che hanno determinato la corrente, né di coloro che si sono lasciati trascinare – aveva detto in una memorabile serata del ’68. – È stato un mio errore. Ne ringrazio Dio».
Presentiamo la poesia Cella d’isolamento, composta a Leopoldov nel ’53 e pubblicata nell’articolo dedicato al poeta, uscito sul bimestrale «La Nuova Europa».
«Umiliato fino a toccare le radici
schiacciato fino in fondo al cuore,
così solo da dimenticare me stesso,
così immerso nelle tenebre guardo verso di voi,
spiriti della luce, amati dal fuoco!
E vi sostengo io, albero senza frutti
sui rami bruciacchiati in cui soffia costante
la linfa di ogni primavera, remota e perduta.
Grazie, mio Dio, grazie per la tua libertà
che canta al cuore, che geme sulla lingua,
grazie per le braccia affaticate dalla croce!
Perché tutto è dono»