Si è spento a Rovereto in provincia di Trento all’età di 91 anni Armando Aste, uno dei principali protagonisti dell’alpinismo italiano nel secondo dopoguerra. Con Aste è scomparso uno degli scalatori più discreti e rispettati della sua epoca, simbolo di un periodo autenticamente eroico. La sua figura è stata quella di un uomo capace di interpretare la passione per l’arrampicata come strumento di elevazione per l’uomo, opportunità per vivere, nell’azione, l’esperienza della bellezza. Le sue linee tracciate sulle più diverse pareti delle Dolomiti rappresentano ancora oggi un inno alla purezza e costituiscono anche per le giovani generazioni una provocazione per lo sguardo, prima ancora che una sfida sportiva da raccogliere.
Per questo, e come raramente accade oggi nell’alpinismo, ricordare Armando Aste come scalatore non può essere disgiunto dal parlare di lui come uomo. Autore di decine di prime ascensioni, prime invernali e salite solitarie di altissimo livello, in buona parte effettuate su pareti di notevole difficoltà, non ha mai voluto trasformare l’alpinismo in una professione e ha sempre considerato l’alpinista come “un cercatore d’infinito, perché la montagna ci indica che qualcosa di ‘oltre’ c’è“.
Il suo allenamento quotidiano consisteva nella spalatura del carbone per alimentare il fuoco nella Manifattura del tabacco di Rovereto, dove ha lavorato come operaio. Alle scalate dedicava il tempo del fine settimana e delle brevi vacanze, compiendo spesso i viaggi di avvicinamento alle pareti in bicicletta. La sua attività sportiva era sostenuta da doti non comuni di agilità e di forza, dalla passione, e dall’amicizia con alcuni compagni di cordata (Morandi, Solina, Stenico, Susatti) con i quali aprì alcune delle più difficili vie tra gli anni Cinquanta e Settanta.
Oltre alle sue sette spedizioni in Patagonia, e alla prima salita italiana sulla parete nord dell’Eiger, tra le sue ascensioni si ricordano le solitarie sulla via Couzy sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo e sulla Brandler-Hasse sulla parete Rossa della Roda di Vael, e la prima invernale alla Carlesso-Sandri sulla parete sud della Torre Trieste. Delle nuove linee si citano sulle Dolomiti di Brenta il Gran Diedro sulla parete nord del Crozzon e la via Concordia sulla Cima d’Ambiez, e sulla parete sud della Marmolada la via della Canna d’organo, la via della Madonna Assunta e la via dell’Ideale.
Così, nel suo volume Pilastri del cielo, giudica quest’ultima salita: “La gioia indicibile, seppure tremendamente sofferta, d’avere saputo proiettare la mia debole carne su questa parete luminosa, nessuno me la potrà togliere. Il ricordo di questi momenti mi serberà per sempre un riflesso di felicità. Non mi faccio vanto di ciò che di favolosamente bello mi è stato concesso. Ma penso di non essere frainteso se dico che, per attingere a questo traguardo, proteso allo spasimo fin sul filo di lana, mi sono impegnato con tutte le forze. Mi sono sforzato continuamente, per anni, costruendomi perfino un abito mentale adeguato alla meta che tuttavia non è mai raggiunta. Dovevo ottenere un equilibrio che mi consentisse di dirmi: vai, ora, osa e resisti. Adesso dico grazie. Grazie alle montagne ed al cielo, mentre mi auguro di sforzarmi ancora per rimanere ad un livello, ad uno ‘standard’ di vita che continui a farmi sentire almeno, il desiderio di simili altezze”.
Nelle parole e nella vita di Armando Aste si legge la testimonianza di una montagna vissuta all’insegna del valore estetico e ascetico, esperienza di gratitudine, amicizia e riconoscimento di bellezza. Nella convinzione, ebbe a dire, che l’alpinismo “non può essere un fine: quando sarà il momento non mi verrà chiesto quante cime ho scalato, ma cosa ho fatto per gli altri”.