Emma Castelnuovo (1913-2014) è una sorgente di acqua limpida nella scuola, una esplosione improvvisa di bene ancora da esplorare. Le autrici di questa sua biografia sono state per molti anni vicinissime a lei, fin dai tempi del loro tirocinio nelle sue classi della scuola media “Tasso” di Roma. La loro opera rivela il rapporto di stima ed amicizia che la Castelnuovo ha sempre stabilito con tutte le persone che, affascinate dal suo insegnamento, hanno voluto seguirla ed imparare da lei. L’origine di tutto è in lei, nella sua personalità, di cui questo testo ci guida a cogliere le sfumature.
Appare anzitutto la sua comprensione profonda della matematica, dovuta non solo all’intelligenza, ma anche alle circostanze. Emma è figlia di Guido Castelnuovo, sua madre Elbina è sorella di Federigo Enriques. Padre e zio sono geniali matematici. Le loro abitazioni sono vicine e molto spesso i due uomini passano la sera insieme impegnati in discussioni matematiche. Emma sarà l’unica dei cinque figli dei Castelnuovo a iscriversi alla facoltà di matematica. “Da ragazza, prestavo orecchio ogni tanto alle ‘famose’ discussioni matematiche serali tra il babbo e lo zio, sentivo salire i toni della voce, epperò non capivo quasi nulla, finché un giorno ho capito e non mi sono più voluta staccare dalla matematica”.
Dopo la laurea (1936) viene incaricata di occuparsi della Biblioteca della Scuola di Matematica, dove nasce il suo amore per la storia del pensiero scientifico e matematico. Ma il suo sogno è insegnare: a maggio del 1938 vince il concorso a cattedra, ma non può prendere servizio: è sospesa dall’insegnamento perché è ebrea. La comunità israelitica di Roma organizza “scuole speciali”, dove Emma comincia ad insegnare al liceo. I suoi allievi del liceo e dell’università clandestina rimangono legati a lei ed alla sua famiglia. Uno di loro dice: “Ho sempre sostenuto che tutti possono capire la matematica se la spiega lei. Era di una chiarezza, di una semplicità, che le cose più astruse, più ardue, te le faceva sembrare elementari”. La sua passione per la matematica si trasforma in chiarezza didattica.
Dopo la fine della guerra viene reintegrata e inizia ad insegnare nella scuola media “Torquato Tasso”, dove rimarrà fino al 1979, anno del suo pensionamento. Con Tullio Viola e Liliana Ragusa fonda l’Istituto romano di cultura matematica, sperando di trasformare la matematica in una disciplina accessibile a tutti. Ma organizza anche riunioni in piccolo, a casa di Enriques, per andare a fondo nella sua ricerca di un metodo di insegnamento nuovo. Uno dei presenti, Attilio Frajese, introduce nel gruppo il libro Les Eléments de Géométrie di Clairaut, che nel 1741 scrive: “quando si inizia lo studio della geometria, si deve attirare l’attenzione sulla realtà che ci circonda: l’area dei campi, i perimetri, la realtà”.
Emma lo studia a fondo e decide di cambiare, ormai convinta che la geometria non deve essere astratta e descrittiva, ma concreta: si deve poter osservare, misurare. I testi in commercio non aiutano i suoi allievi, sono manuali molto piccoli, con poche figure, carichi di formule ed esercizi. Emma sta alle circostanze e comincia a scrivere, basandosi sulle sue esperienze in classe.
I numerosi testi di Emma sono pensati per i ragazzi, che vuole indirizzare alla ricerca, come se dovessero ripercorrere il pensiero matematico che si è sviluppato nei secoli. Figlia e nipote di due appassionati professori di geometria, Emma incomincia la sua avventura dalla geometria. Niente è improvvisato: “Io mi rifaccio al concetto di intuire che è precisato nella pedagogia pestalozziana, cioè l’intuizione intesa come costruzione dove l’attenzione non si rivolga tanto all’oggetto ma alla sua variazione, a un’azione, a un’operazione con l’oggetto stesso”. Il libro non inizia con “i venerabili enti geometrici fondamentali” ma con le piegature della carta; della simmetria dà un concetto intuitivo con il ribaltamento e mette in evidenza il senso di bellezza e di armonia.
Invitata a parlare a Sèvres, viene rifiutata dagli insegnanti francesi, ma conosce un gruppetto di belgi, che si ritrovano nel suo modo di fare matematica a scuola. Questi la invitano a Bruxelles all’Ecole Decroly, dove stringe un’amicizia fortissima con Paul Libois. Di passaggio a Ginevra, ottiene un appuntamento da Jean Piaget. Con entrambi nascono relazioni fruttuose e durature.
Tanto apprezza Libois quanto critica Papy e la moglie Frédériques, che hanno una scuola loro con loro strumenti ed un insegnamento molto astratto. Papy cerca di rifuggire dal concreto per evitare che la percezione attraverso i sensi abbia il sopravvento sulla ragione. Emma vede nell’impostazione di Papy l’origine del diffondersi della difficoltà per la matematica, ma anche della paura e dell’antipatia verso questa disciplina.
Nel 1959, in un convegno internazionale a Royamont, dove con Luigi Campedelli rappresenta l’Italia, si ribella allo slogan di Dieudonné: “A bas Euclide! A bas le triangle!”. Dieudonné è un matematico del gruppo Bourbaki, che esclude qualsiasi riferimento al concreto e alle conoscenze già possedute dagli alunni. Invece l’astratto, nella visione di Emma, non deve cadere dal cielo (come nelle proposte dei bourbakisti) ma deve essere “estratto” dal concreto.
Converge con il giudizio di Hans Freudenthal: l’insiemistica a tutti i costi ha come risultato un insegnamento che risulta ancora più astratto di quello della geometria euclidea. Emma nota che il materiale Montessori manca di possibili trasformazioni continue, mentre il materiale dinamico permette di arrivare proprio a quei concetti di struttura e di classificazione, a cui i fautori della matematica moderna tengono molto. Secondo le due autrici, “Oggi le neuroscienze e le ricerche cognitive confermano sempre di più alcune delle intuizioni e delle conclusioni cui Emma è arrivata osservando e ascoltando in modo molto attento i suoi allievi”.
Solo nel 1962 completa la sua opera scrivendo il testo I Numeri. Nella recensione di De Finetti si legge: “il garbo insolito dell’esposizione…. riesce con infiniti accorgimenti a dischiudere agli occhi di chi legge una visione assolutamente inattesa dell’aritmetica e della geometria”. Ad esempio, vengono presentate situazioni legate al quotidiano dove non vale la proprietà commutativa: “Se mettiamo in un bicchiere d’acqua prima alcune gocce di limone e poi una punta di bicarbonato otterremo una bella limonata effervescente; ma se invertiamo le operazioni e cioè in un bicchiere d’acqua dove è già stato messo un pizzico di bicarbonato aggiungiamo le gocce di limone, non si otterrà nessuna effervescenza, anzi avremo una bibita di sapore sgradevole. Eppure gli ingredienti sono sempre gli stessi: acqua, limone e bicarbonato!”
Nel dicembre del 1963 pubblica un libro che diventerà un classico, Didattica della matematica, purtroppo da tempo fuori catalogo, per il quale riceve il premio del ministero della Pubblica Istruzione con questa motivazione: “La tesi dell’autrice sul piano didattico è l’opportunità dell’acquisizione diretta dei concetti matematici da parte dell’allievo attraverso una sua esperienza attiva aiutata da opportuno materiale didattico non statico, né rigido, con il quale egli possa concretamente operare. In tale metodo si può ravvisare la più spontanea e quindi più opportuna preparazione alla comprensione degli schemi astratti della matematica”. Da questa occasione partono le lauree a indirizzo didattico, per le quali si introduce il tirocinio in classe.
Il 5 maggio 1971 avviene la prima “Esposizione di matematica”. Al pomeriggio le aule del Tasso sono aperte, occupate da studenti delle classi di Emma, che presentano al pubblico il materiale costruito durante l’anno e il percorso fatto. Emma e i suoi ragazzi sono lì a mostrare che la matematica non è una disciplina fredda, arida, astratta, ma concreta, emozionante, viva, legata alla realtà e che riguarda tutti. Nota: nessuno dei colleghi di matematica è presente.
Un aspetto assai interessante ed attuale del suo modo di insegnare è chiedere agli allievi di scrivere di matematica. Oggi diremmo che ha curato l’aspetto narrativo, la competenza dell’esprimersi nella propria lingua. Sa che capire, imparare, raccontare sono azioni faticose e per questo dà molta importanza ai testi degli alunni che, anche se con parole non del tutto precise, esprimono il loro pensiero e li invita ad usare metafore, di cui dà loro l’esempio.
Emma fa molti corsi all’estero. Nel 1978 è in Niger per un corso destinato agli insegnanti. Dopo i primi incontri emerge, e sconcerta, la grande differenza tra ciò di cui lei parla e il metodo adottato nella scuola del luogo. Emma chiede di andare in due scuole e di incontrare gli insegnanti nel pomeriggio per mostrare e discutere con loro il lavoro fatto in classe la mattina con gli allievi. Tornata in Italia, esprime un giudizio molto forte: “Se in Francia i programmi schiacciano gli allievi per la loro precoce e assurda astrazione e servono pertanto da vera arma selettiva, nella tragica realtà di un paese come il Niger valgono solo a fare degli schiavi!”.
Nel 1979 Emma è membro della Commissione nominata dal ministero per la riforma dei programmi della scuola media. I programmi di matematica a cui ha lavorato sono molto apprezzati, ma non vengono applicati, purtroppo la consuetudine vince sulla novità.
Appena andata in pensione pubblica la nuova edizione dei suoi libri di testo, perfettamente in linea con i nuovi programmi. Si cimenta poi con un testo per la scuola superiore, in collaborazione con Daniela Valenti e suo marito Claudio Gori, che possono portare quel contributo a cui Emma tiene tanto, la concretezza e il legame con situazioni reali. I testi vengono molto apprezzati a livello internazionale, ma in Italia non riscuotono il successo che avrebbero meritato: troppo colti, troppo distanti dai testi tradizionali.
L’editore le propone di scrivere una nuova edizione dei suoi libri per la media e anche questa volta desidera essere affiancata da due giovani insegnanti, Carla Degli Esposti e Paola Gori. Anche con loro instaura una relazione forte, comunicando il suo amore per la ricerca. Introduce una guida molto corposa sui programmi, che spesso i professori non conoscono. L’obiezione di molti insegnanti è però sempre la stessa: il libro è bellissimo ma ci sono pochi esercizi. Emma lavora ai suoi libri per la scuola media fino all’ultimo, li ha sempre considerati una delle cose più belle della sua vita.
Per i suoi 90 anni Roma la onora, nella sala della Protomoteca, al Campidoglio. Veltroni, sindaco di Roma e soprattutto suo ex allievo, la presenta e al termine del suo discorso dona ad Emma una targa con la scritta: “A Emma Castelnuovo, Maestra della didattica della Matematica”.
Una maestra da cui la scuola attuale può imparare moltissimo. Grazie dunque alle autrici per averci mostrato le radici umane, nel pensiero e nel cuore, dell’opera di una grande donna.
Carla Degli Esposti, Nicoletta Lanciano, “Emma Castelnuovo”, L’Asino d’Oro Edizioni, Roma 2016.