In un famoso racconto, Jorge Luis-Borges parlava di una cartina geografica così dettagliata da coincidere punto a punto con il territorio che descriveva: ovviamente, quella cartina era completamente inutile. Quando voglio una carta geografica di un luogo devo per prima cosa chiarirmi e chiarire a cosa mi deve servire: se devo distribuire dei volantini in Lombardia mi serve sapere dove sono le case delle persone; se devo nello stesso territorio costruire una ferrovia mi serve invece conoscere la pendenza del territorio. Un’informazione utile in un caso non è utile nell’altro. Dunque scegliere cosa conviene sapere è innanzitutto il primo passo che, almeno dai tempi di Galilei, come ce lo raccontava in un bellissimo saggio Ludovico Geymonat, distingue la scienza moderna dalle visioni onnicomprensive del passato.
È con questa convinzione in mente che vorrei commentare l’annuncio fatto pochi giorni fa dal Presidente degli Stati Uniti di sostenere con un finanziamento miliardario in dollari la “mappatura” “di tutto il cervello umano”. Intanto basta conoscere la storia della scienza per convincersi immediatamente che i passi avanti epocali non sono mai stati fatti con “operazioni di massa” ma con intuizioni puntuali e spesso impreviste. Gli antibiotici non sono stati scoperti perché si sono mappati gli effetti di tutte le muffe esistenti ma perché Fleming si accorse dell’azione antibiotica di una muffa che aveva notato “casualmente” agire. Questo perché la natura non lascia dedurre le sue leggi da osservazioni sistematiche di massa: occorre, per leggere la realtà, avere una chiave interpretativa, una teoria che affini le nostre aspettative e ci allerti su ciò che conta veramente. Non basta osservare per tanti giorni il sole per avere una teoria eliocentrica del sistema solare. Occorre avere una costellazione di fatti che solo la sensibilità del ricercatore sceglie.
Sgombro il campo da un equivoco malizioso: mi guarderei bene di dire che l’impresa annunciata da Obama sia dannosa o inutile. Ben venga una mobilitazione collettiva dove i soldi di tutti siano utilizzati a fini utili e pacifici. Anzi, sarebbe ora di rendersi conto che si spende di più ogni domenica per scommettere se una palla entra in rete che in tutto l’anno per gestire un progetto di ricerca in oncologia. Se poi estendiamo l’osservazione al gioco in generale, il progetto di Obama diventa una minuzia: nel 2009 solo in Italia l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato ha incassato più di 9 miliardi di euro (fonte Consorzio Italiano Gioco Pubblico, Criga). Dunque, benissimo che si decida di investire in modo massiccio nella ricerca. Il dubbio legittimo è che iniziative di questo tipo siano veramente la strategia migliore per procedere.
In molti hanno ricordato la mappatura del genoma come un equivalente di questa nuova “crociata” in un ambito scientifico diverso con toni decisamente positivi. Anche lo stesso Obama l’ha fatto. Ma, a ben vedere, quando si è trattato di valutare i benefici della mappatura sul genoma, le sue parole non sono state prive di una certa ambiguità. Ha detto: “ogni dollaro investito nella mappatura del genoma ha generato 140 dollari per la nostra economia, ogni singolo dollaro” (D. Jackson, Usa Today). Curioso modo di valutare i benefici scientifici: invece di dirci quali malattie sono state curate ci dice che l’indotto di questa impresa è stato molto vantaggioso sul piano economico. Non stento a crederci. Mi viene in mente quando da ragazzino sentivo i proclami sui benefici della conquista della Luna. Certamente, anche allora ogni dollaro investito ne ha fruttati molti, ma i benefici – che io sappia – sono più o meno confinati nei sistemi di conservazione del cibo con pellicole plastiche e poche altre innovazioni sui materiali. I frutti economici cospicui venivano invece dalle esclusive televisive e dalla vendita di giocattoli o simili. Questo non esclude affatto che la mappatura del genoma non sia utile ora o in un futuro prossimo: ma in un mondo che deve fare i conti con le risorse, a prescindere da quello che dicevo sulla storia della scienza, forse questa non è la decisione migliore.
Viene un dubbio. La settimana scorsa l’agenzia di ricerca europea (Erc) ha annunciato il finanziamento di un progetto anch’esso miliardario (in euro) centrato su enti “europei” in senso lato (coordinati dal Politecnico di Losanna – Épfl) sulla produzione di un cervello artificiale (l’Italia partecipa con l’Irccs Mondino e l’Università di Pavia). Il dubbio è che siamo di fronte ad una riedizione del balletto di cifre della guerra fredda, quando Usa e Cccp gareggiavano nell’annuncio di progetti a lunga gittata sempre più grandi di quelli degli altri. È così che si ingannano i giovani ricercatori: la scienza non è una colossale e minuziosa impresa di catalogazione capillare per la quale servano necessariamente cifre colossali, salvo casi rari e particolari quando ad esempio non ci si aspettano scoperte ma solo tassonomie di cose scontate; la scienza, invece, funziona come la vita, funziona solo se ci si fida dell’imprevisto e se ci prepara a stupirci di cose semplici.
Nel caso del cervello, per concludere, prima di metter mano alla costruzione di una mappatura a tutto campo, sarebbe bene chiarire cosa ci aspettiamo di vedere: il rischio è di usare una cartina geografica sbagliata e di trovarci a distribuire dei volantini in una regione avendo come indicazione è la pendenza del territorio.