Un nuovo capitolo nella storia dell’America precolombiana è in procinto di venire alla luce, con lo studio delle rovine di una città nel Messico centrale. Le rovine, appartenenti alla civiltà P’urhépecha (ovvero Purepecha), sono situate nel bacino del lago Patzcuaro, a pochi chilometri dalla città di Tzintzutzan, capitale di un impero semisconosciuto, avversario degli Aztechi.
Si tratta di un grande insediamento, nello stato centrale bagnato dall’Oceano Pacifico del Michoacán, scoperto l’estate scorsa dalla spedizione archeologica della Colorado State University, sotto la guida di Christopher Fisher. Ed è stato proprio durante il 75° meeting annuale della Society for American Archaeology (SAA), in programma per lo scorso week-end a St. Louis nel Missouri, che è stata presentata ufficialmente la scoperta con tutti i dati finora disponibili.
Il centro, abitato durante il periodo di consolidamento dell’impero Purepecha da almeno 40 mila persone, è un insediamento proto-urbano, fondato intorno al 1000 dopo Cristo e progressivamente svuotatosi verso il 1350 a vantaggio della nuova capitale dell’impero, Tzintzutzan, fino al 1500, quando ormai la città, che ancora non ha un nome, risultò completamente disabitata.
L’insediamento faceva parte di una civiltà specializzata nella lavorazione del rame e del bronzo. L’impero Purepecha era tanto grande e potente quanto quello Azteco: controllava la parte occidentale del Messico e aveva rapporti bellicosi con i vicini orientali, il che, però, non impediva intensi scambi commerciali tra i due popoli. Ci sono infatti testimonianze di una cruenta battaglia nel tardo XV secolo in cui l’esercito degli Aztechi ebbero la peggio.
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Questa civiltà, tuttavia, continua a conservare il mistero della propria origine: la lingua Purepecha, infatti, è stata associata alla lingua Quechua, la lingua dei nativi peruviani, e l’abilità nel confezionare oggetti di rame e ferro, caso unico fra le tribù del Centro America, sembrerebbe legare questa civiltà a popolazioni provenienti dalle regioni meridionali.
Il ritrovamento è importante anche dal punto di vista antropologico: questo popolo non conosceva animali domestici, ma cominciava a stratificarsi socialmente in soldati, funzionari, artigiani organizzati in gilde e corporazioni. La religione Purepecha, infine, era basata su una divisione in tre parti dell’universo, aria, terra e inferi, e contemplava l’offerta di sacrifici umani (anche se non nell’ingente misura dei loro antagonisti Aztechi) nel cruento culto del dio del sole e della guerra. Nessuna stele con iscrizioni o geroglifici, però, è stata mai ritrovata, e questo ha contribuito a sprofondare questo impero, un tempo florido, nell’oblio.
«Ciò che è interessante riguardo al sito», ha affermato infatti Fisher, «è che esso ci fornisce uno spaccato sul periodo pre-statale, quando cominciò a crescere la complessità sociale, la gente iniziò a riunirsi e a modificare il paesaggio». Il sito scoperto nella regione del lago Patzcuaro si estende su circa cinque chilometri quadrati e contiene migliaia di elementi: edifici, case, piccoli templi, piazze. Circa un quinto del sito è stato mappato con precisione, grazie a un innovativo sistema basato su computer e speciali ricevitori GPS.
La civiltà Purepecha scomparve presto con l’arrivo degli europei, decimata dal vaiolo e da altre epidemie, portate dagli spagnoli e trasmesse dagli Aztechi. Quando infine gli spagnoli arrivarono, non c’era nessuno che potesse resistere all’attacco, la civiltà era quasi scomparsa.