Domani, 26 febbraio, si terrà a Bologna, presso l’Istituto Veritatis Splendor, il seminario intitolato Memora dei Giusti (o memoria del bene). Nota per un approccio critico. Ad organizzarlo e ad animarlo è Antonia Grasselli, ben nota al panorama culturale per le sue ricerche dedicate ai Giusti italiani che salvarono gli ebrei durante la Shoah, e la cui relazione toccherà il tema dei “salvatori e salvati” in una prospettiva storiografica.
Il seminario, cui hanno aderito le associazioni cattoliche che operano nella Scuola, è rivolto agli insegnanti di ogni ordine e grado, ma è aperto anche a tutti coloro che operano nel mondo giovanile. Per le sue interessanti tematiche, il seminario ci suggerisce alcune riflessioni che proveremo a sintetizzare.
Il tema dei Giusti è un tema storiografico? Ha una sua precisa collocazione e connotazione fra le discipline storiche? Per rispondere a tale quesito non basta la distanza temporale dagli eventi, che farebbe del tema, sic et simpliciter, un tema storiografico. Né basta dire che vi sono molte fonti che ormai consentono di documentare la storia dei salvatori e dei salvati. La prospettiva storiografica richiede molto più di questo: è connessa a una voglia di scoperta o di riscoperta delle cose, e alla capacità di collegarle.
Ed è qui che ci si imbatte nel lavoro di Yad Vashem a Gerusalemme, a cinquant’anni dall’istituzione dall’«Archivio dei Giusti» voluto da Moshe Bejski, nato per promuovere gli studi e arricchire la documentazione sui “gentili” che salvarono gli ebrei dalla deportazione e dalla morte nei campi di sterminio.
La questione da chiarire è se l’opera di Yad Vashem abbia o no conferito alla questione dei Giusti dignità storiografica; o se non sia stata legata al solo orizzonte della riconoscenza, di un debito di gratitudine da assolvere, senza una contestualizzazione storica; senza studiare, come dire, i Giusti e il loro tempo.
È questo un tema che sarà sicuramente discusso nel seminario bolognese. Ci si permetta qui tuttavia di svolgere qualche considerazione, anche sulla base della nostra esperienza diretta degli archivi di Yad Vashem.
Dal punto di vista delle fonti, l’“archivio dei giusti” a nostro avviso non risponde ai requisiti necessari alla ricerca storica. I dossier non sono consultabili se non vi sia stata una pronuncia a favore della concessione del titolo di “Giusto tra le Nazioni”. Ne consegue che i dossier sui casi ancora dubbi o valutati in senso negativo sono chiusi agli occhi dello storico. È il caso, per esempio, dell’arcivescovo di Zagabria, Cardinale Alojzjie Stepinac, accusato di collaborazionismo e di antisemitismo, soprattutto all’indomani della sua beatificazione ad opera di Giovanni Paolo II. A chiedere l’avvio per Stepinac dell’istruttoria per il titolo di “Giusto tra le Nazioni” fu Amiel Shomrony, ex Segretario del Rabbino Capo di Zagabria, Shalom Freiberger. La pronuncia di Yad Vashem in senso contrario al riconoscimento del titolo ha comportato la chiusura del relativo dossier agli studiosi.
Dal punto di vista storico, ciò è un errore: l’archivio è la stratificazione degli eventi che si vuol ricostruire. Siccome la storia dei Giusti è anche storia delle incertezze, dei problemi, delle difficoltà, delle motivazioni addotte pro o contro il riconoscimento del titolo, nell’adottare un criterio così restrittivo alla consultazione delle sue carte Yad Vashem dà ragione a quanti sostengono che per esso la storia dei Giusti si riduce a una storia di debiti di gratitudine che singoli individui hanno contratto verso altri individui: senza compiere un’indagine ampia e comparativa, soprattutto per vedere se vi furono invece delle reti di assistenza, e come esse furono gestite.
Non si dimentichi poi che anche i dossier aperti alla consultazione non consentono allo studioso di ricostruire le procedure e i dibattiti interni a Yad Vashem, di accertare perché, nella concessione del titolo di Giusto, si pervenne a una decisione positiva, e perché proprio a quella.
Avendo potuto noi consultare a Gerusalemme alcuni dossier sui Giusti italiani, da essi non abbiamo raccolto elementi chiari su che cosa ne pensarono coloro che li esaminarono. Non sappiamo, per esempio, se furono espresse posizioni di minoranza e perché. Non riusciamo insomma a capire, al di là di pochi altri documenti collaterali, l’esatto succedersi dei dibattiti interni a Yad Vashem, e il modo per collegarli alla più ampia ricerca sulla Shoah.
Sotto questo aspetto non ci sembra che a Yad Vashem vi sia un approccio storico al tema dei Giusti: anzitutto perché un tale approccio richiederebbe la più ampia disponibilità di documenti; e poi perché ci sembra manchi una rigorosa analisi delle fonti, e una loro comparazione, in connessione con i più ampi contesti della storia della seconda guerra mondiale e del secondo dopoguerra.
Ci permettiamo tuttavia di segnalare un fattore di novità. Un tentativo di storicizzazione e di comparazione scientifica è stato compiuto a Yad Vashem (per il lodevole impulso del compianto David Bankier e di Iael Nidam Orvieto) su un tema che potremmo definire minato: il “caso Pio XII”. La proposta è stata di discutere, in un simposio a porte chiuse fra studiosi ebrei e cattolici, del ruolo di Pio XII nell’Olocausto, alla stregua della maggior quantità di fonti disponibili, e tenendo presenti i vari contesti, con una ripartizione temporale degli eventi. Ne è scaturito un volume “a quattro mani” ebraico-cattoliche, pubblicato da Yad Vashem con il titolo Pius XII and the Holocaust. Current State of Research. Già dal titolo s’intuisce che almeno sul “caso Pio XII”, Yad Vashem ha accettato che si lavorasse in un alveo storiografico teso a recepire ogni nuovo fruttifero apporto.
È certamente un progresso che Yad Vashem abbia scelto di confrontarsi con i cattolici sul tema riguardante Pio XII e la Shoah, pur nell’ottica di una “diplomazia interreligiosa” che non sempre porta i frutti sperati. Ma ciò non ha sciolto tutti i nodi. Si sono infatti mantenute le distanze su un punto fondamentale: l’esistenza o no di una rete di protezione di cattolici che salvarono gli ebrei europei. Anzi, diciamo pure che il progresso sul dibattito riguardante Pio XII e l’Olocausto è stato reso possibile solo a condizione di tenere a margine il tema dei Giusti organizzati “in rete”.
Da parte ebraica, infatti, si tende inspiegabilmente a mettere la sordina sul fatto che molti divennero dei “Giusti fra le Nazioni” perché sapevano dell’orientamento della Chiesa cattolica e del Papa. Si adduce sempre la mancanza di ordini scritti di Pio XII di aprire le porte dei conventi agli ebrei in fuga in tutta Europa. Ma le testimonianze contenute nei “diari di casa” di molti conventi, e quelle di molti degli stessi Giusti cattolici (come di tanti altri “eroi per caso”) ci dicono l’esatto contrario. In altre parole, molti fra i cattolici si trovarono a essere riconosciuti Giusti tra le Nazioni, non solo per il loro eroismo personale (magari anche casuale), ma anche perché erano certi che il Papa e la Chiesa cattolica, cui essi appartenevano, stavano cercando di salvare il maggior numero di ebrei possibile dallo sterminio, in maniera più o meno fortunosa e più o meno organizzata.
Il vero nodo storiografico, quello centrale, non è quindi il ruolo di Pio XII nella Shoah, o, peggio, lo “sdoganamento” della figura di Papa Pacelli agli occhi degli ebrei; ma il collegamento tra la figura di Pio XII (e la Chiesa come istituzione) e i salvataggi di ebrei compiuti dai cattolici; e l’accertamento, sulla base delle fonti, dell’esistenza di una rete di salvataggi più ampia, superando l’impostazione episodica legata all’eroismo individuale dei Giusti.
Se è questo il nodo del problema, allora l’orizzonte limitato dell’eroismo individuale non basta. Aggregando le fonti, comparandole e chiarendo la sequenza degli eventi con rigore cronologico, la storia dei Giusti, da demanio riservato della storia episodica, assumerebbe dignità storiografica e diventare fecondo terreno di ricerca interdisciplinare. Così facendo, non solo si accerterebbe meglio l’opera dei Giusti; ma si collocherebbe anche il tema dei salvataggi nella storia politica e sociale della seconda guerra mondiale e del ventesimo secolo: ossia nel contesto che gli è proprio.
Non da ultimo, e senza sorpresa alcuna, si scoprirebbe l’esistenza di tanti “Giusti impliciti” che legarono la loro opera non a singoli episodi, non all’eroismo di un momento, ma a un lavoro più corale. E si scoprirebbe che questo lavoro fu compiuto entro istituzioni (moltissime delle quali cattoliche), i cui archivi sembrano negletti. Si scoprirebbe così che una visione limitata, fatta di casuali eroismi individuali, ormai non spiega tutto della storia dei Giusti.
Al lodevole compito di conferire dignità storiografica ai Giusti (riconosciuti o impliciti) e al loro tempo” ci sembra votato il seminario bolognese di imminente apertura.