Giovanna Parravicini conosce molto bene la realtà russa. Ed ha una vivida memoria anche di quella sovietica. La sua trentennale collaborazione a Russia Cristiana le ha consentito di incontrare, direttamente o attraverso gli scritti, molti testimoni della incoercibile possibilità che l’uomo ha di rimanere libero anche in condizioni esteriori di totalitarismo. Alcune di queste persone le ha descritte in un recente volume (Liberi. Storie e testimonianze dalla Russia, BUR 2008). ilsussidiario.net l’ha intervistata.
Con quale criterio hai scelto i personaggi di cui narrare la biografia?
Innanzitutto con un criterio di «simpatia personale». Nel senso che sono state le prime persone che mi sono venute in mente pensando a che cosa significhi per me l’esperienza di vivere da uomini liberi. L’incontro con ciascuno di loro – personale nella maggior parte dei casi, in qualche occasione attraverso un libro o un testimone – è stato in qualche modo decisivo nella mia storia.
Mi è sembrato anche, mettendoli in fila così come mi erano venuti in mente, che questi personaggi delineassero un quadro della Russia «vera», «sommersa», che attraverso Russia Cristiana in questi ormai trent’anni ho conosciuto – la Russia che ha attraversato il fuoco della rivoluzione, la tragedia del GULAg, le peripezie della perestrojka senza smarrire il contatto con le radici della sua santità, della cultura cristiana. Per dirla con Solženicyn, sono il «giusto senza cui non esiste il villaggio. Né la città. Né la terra tutta».
E poi sono anche parte della nostra storia, compagni di un cammino in cui la piccola storia di Russia Cristiana e del movimento di Comunione e Liberazione si intrecciano con la grande storia di un popolo e della sua Chiesa, generando quelli che per me restano «miracoli» nel vero senso della parola, miracoli di amicizia e di condivisione fraterna della vita.
Tutte le “vite” raccontate si pongono sotto il segno della libertà interiore in un contesto opprimente. Quale insegnamento questo è stato per te personalmente e quale messaggio danno ad una società, quella occidentale, che si vanta di essere libera?
Quello che più mi ha colpito è che la «libertà interiore» genera sempre luoghi di libertà che si rendono in qualche modo visibili, sperimentabili, comunicabili. E d’altro canto non si dà società libera se non ci sono uomini vivi, responsabili, liberi.
Tra l’altro, per questo motivo ho scelto storie che abbracciano sia l’epoca sovietica che la «nuova Russia», che in fondo, per tanti aspetti, non è poi così diversa dal nostro mondo occidentale. È per dire che la battaglia è sempre la stessa, vivere da uomini le circostanze circostanti, qualunque esse siano. Questo si capisce bene andando in missione, perché dopo un po’ di tempo ci si accorge che, in qualunque contesto, è sempre una quotidianità da vivere: la scelta è tra un quotidiano banale, scontato, e il quotidiano vissuto con un significato, «eroico», come diceva Giovanni Paolo II parlando di san Benedetto. Ciò che vale per dare senso alla vita di un detenuto nei lager sovietici (ad esempio Evgenija Ginzburg), vale anche per me e il mio collega di lavoro Viktor Popkov.
I personaggi di cui hai parlato sono oggi conosciuti e rispettati in Russia oppure rischiano di essere dimenticati?
La censura della memoria funziona egregiamente in Russia come in Occidente. Per la stragrande maggioranza dei russi – in particolare per le giovani generazioni – Butovo è solo uno dei tanti quartieri-dormitorio di Mosca, e non il poligono di tiro dove sono state sterminate decine di migliaia di innocenti; anche figure gigantesche come Sacharov o Solženicyn rischiano di restare ignorate. Figurarsi per i protagonisti di questo testo, che in buona parte sono persone comuni, gente normale che ha «rischiato» nel proprio quotidiano vivendo da eroe una condizione ovvia, banale… Natalija Solženicyna, all’inaugurazione di una grande mostra fotografica al Maneggio dedicata ai 90 anni dello scrittore recentemente scomparso, il 4 dicembre scorso ha osservato che oggi in Russia viviamo in una società ultimamente libera, per quante contraddizioni e problemi ancora esistono. «Adesso non basta più lottare, opporsi, non ha più senso. – ha sottolineato – È il momento di costruire, e dipende da noi, da ciascuno di noi custodire e far fruttare ciò che di più prezioso e caro abbiamo, il patrimonio ideale che ci è stato affidato, testimoniarlo e renderlo patrimonio comune».