Quando mi è stato chiesto dall’editore trevigiano Santi Quaranta di curare l’edizione italiana del libro-intervista di Vaclav Havel uscito nel 2006 a Praga col titolo di Prosim strucne, pensavo di maneggiare un testo relativamente scontato: l’avevo già visionato in fretta per presentarlo ai lettori de La Nuova Europa, e in più le domande di Hvizd’ala mi erano parse un po’ ripetitive, ossessivamente puntate sulla politica cecoslovacca, poco allettanti per il lettore italiano!
Poi, man mano che si accumulavano le pagine, il libro non stancava grazie alla capacità di Havel di stemperare gli argomenti più impegnativi e di far immedesimare il lettore nelle faccende quotidiane che hanno caratterizzato i suoi 13 anni di presidenza. Un uomo al Castello offre infatti un collage formato dalle risposte di Havel alternate a passi tratti da mail e messaggi ai collaboratori, e infine si aggiungono brani dal suo diario del 2005 dedicato soprattutto alla permanenza di studio negli Usa.
C’è una foto caratteristica del primo mandato presidenziale: ritrae Havel che con passo frettoloso segue un bambino che lo precede correndo e ridendo divertito, tra l’impaccio della scorta. Eccolo qui il «principe della fiaba», al culmine dell’epopea che l’ha portato da «eroe nazionale, martire, guida della rivoluzione» a presidente-filosofo!
Se non si è preparato alla presidenza «dalle elementari, come fanno gli americani», ha però attinto dall’esempio di T.G. Masaryk, il primo capo di stato cecoslovacco, fautore della «rivoluzione delle menti e dei cuori», colui che introdusse il paradosso della «politica non politica». Il secondo mandato, la presidenza ceca, appartiene già a un’epoca più prosaica e disincantata: «Un’annunciatrice televisiva parlando di me ha aggiunto automaticamente che avevo fatto diversi errori. Era il cliché dell’epoca, lo si ripeteva quasi fosse un appellativo o un titolo. Per scherzo le avevo inviato un mio biglietto da visita con la scritta: “V. Havel – Autore di numerosi sbagli ed errori”».
Le risposte di Havel ripercorrono anche il periodo del dissenso cecoslovacco maturo che è sfociato alla fine del 1989 con la fine del regime comunista e il ritorno, pur faticoso, alla democrazia. Punzecchiato da Hvizd’ala, Havel non può fare a meno di esprimere alcune critiche nei confronti dell’attuale presidente ceco, Vaclav Klaus (allora premier); soprattutto Havel non gli perdona l’idea «secondo cui i dissidenti non hanno avuto alcun merito per il crollo del comunismo che sarebbe stata invece opera di cittadini normali che pensavano ai fatti propri. L’opinione pubblica vede in questo la conferma del proprio comportamento: ora che si può, tutti lodiamo il capitalismo, mentre prima andavamo obbedienti a votare i comunisti e così potevamo badare tranquillamente ai fatti nostri».
Il collage di mail e appunti, oltre a riportare pensieri sparsi, presenta la miriade di triboli che affliggevano quotidianamente il presidente. Qui il lettore si imbatte in un’atmosfera surreale fatta di vecchiette che nascondono le posate d’argento del servizio bello, di pipistrelli che popolano i ripostigli del palazzo, di computer che hanno il sopravvento sull’uomo.
Nei ritagli del diario americano, infine, Havel osserva le vicende del mondo e medita sulla propria condizione esistenziale: sono brani scritti in una lingua ora arguta e vivace, ora lenta e meditativa, e si assiste alla riconquista di spazi di libertà creativa altrove tenuti a freno dallo stile asettico della burocrazia.
A differenza dell’eroe del suo ultimo lavoro teatrale, Il commiato (2007), una volta libero dagli incarichi Havel non se n’è stato «seduto sulla valigia», ma ha continuato a interessarsi dei diritti umani calpestati in varie parti del mondo: «Pensavo ingenuamente che una volta terminato il mio mandato sarebbe finita anche la fase avventurosa della mia vita e io avrei potuto, come pensionato, godermi la vita, viaggiare, riposare, pensare e leggere. Era una pura utopia. Tutto è andato diversamente».
L’anno scorso è stato prodotto anche un collage cinematografico sulla falsariga del libro, in stile candid camera, come ricorda l’ex portavoce Spacek: «Era un progetto senza precedenti; Havel aveva dato il via libera, ma i suoi collaboratori temevano che questioni riservate diventassero di dominio pubblico».
Oggi, nella nostra epoca di relativismo, sono ancora molte le sollecitazioni offerte dagli scritti di questo «drammaturgo, dissidente, carcerato, presidente, pensionato, fenomeno pubblico ed eremita, presunto eroe e fifone segreto», che tanto si è speso e continua a spendersi per la dignità umana.