È stata inaugurata a metà marzo, e resterà aperta al pubblico fino a fine agosto, la mostra Galileo – Immagini dall’Universo dall’antichità al telescopio, allestita a Firenze a Palazzo Strozzi e curata dall’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze. Una mostra ricchissima, più dal punto di vista storico e degli oggetti esposti, che dal punto di vista della ricostruzione e dell’analisi delle scoperte galileiane che si celebrano in questo quarto anniversario delle prime osservazioni col cannocchiale.
La mostra dedica infatti lo spazio più ampio alle civiltà antiche e alla commistione, tipica di quelle civiltà (tranne la greca), tra astronomia, miti cosmogonici, astrologia. Si inizia con gli Assiro-babilonesi: in questa sezione sono esposte preziose tavolette in caratteri cuneiformi, di argomento astronomico, e cominciano a comparire immagini di costellazioni (che saranno un elemento ricorrente anche di altre sezioni della mostra, anche per il loro significato astrologico).
Dopo un passaggio all’antico Egitto (bellissimo il sarcofago con la dea Nut che regge sulla sua testa il sole), si arriva al piatto forte del mondo antico: i greci. Si parte dalle rappresentazioni mitologiche con vari exhibit (la statua dell’Atlante Farnese, per fare un esempio, che regge un cosmo sferico su cui sono disegnate le costellazioni), per arrivare alle radici vere e proprie di una astronomia in senso moderno: Pitagora e i suoi, che ipotizzano la sfericità della Terra e i moti circolari dei corpi celesti intorno a essa, e introducono il concetto di “cosmo”, cioè di un ordine che regola l’intero universo. Si passa poi ai modelli di Eudosso e Tolomeo e qui emerge un’altra caratteristica della mostra: l’uso di brevi filmati che illustrano in modo efficace i modelli cosmologici. In questa sezione compare anche uno dei limiti dell’esposizione: alla ricchezza degli oggetti, dei filmati, eccetera, non corrisponde una proposta di pannelli sufficientemente illustrativi, come aiuto per chi non ha una conoscenza specifica; inoltre, la disposizione delle sale è fin troppo ricca, fino ad apparire un po’ disordinata; si ha alle volte l’impressione di un “bazar” dell’astronomia (e dell’astrologia), più che di una proposta culturale. C’è una varietà di strumenti esposti: astrolabi in tutte le versioni costruttive possibili, sfere armillari e altro ancora; anche se svolgono più l’efficace funzione di “oggetti immagine” e meno quella di introdurre ai metodi di osservazione del cielo. Nell’audioguida peraltro ci sono delle spiegazioni in più, in qualche caso anche fin troppo analitiche.
Il passaggio all’epoca moderna è segnato da una sezione dedicata all’Islam e una al Medioevo cristiano; quest’ultima per segnalare la riscoperta di una concezione di “ordine” nell’Universo, conseguenza del Dio creatore. Si affronta quindi la “rivoluzione copernicana”, con i modelli di Copernico e Tycho Brahe, anch’essi ben illustrati da disegni e filmati.
Finalmente si arriva a Galileo, e qui c’è una leggera delusione. Da una parte si possono ammirare le pagine originali del Sidereus Nuncius, quelle del diario tenuto durante le sue osservazioni astronomiche, quelle del Dialogo dei Massimi sistemi; oltre alla lente originale (purtroppo rotta), allo spaccato (ricostruzione) di uno dei suoi cannocchiali, al disegno fatto da Galileo della Luna vista con il cannocchiale. Dall’altra manca una illustrazione, anche sintetica, delle sue osservazioni (non sono riuscito a individuare, ad esempio, i suoi disegni dei satelliti di Giove) e della loro importanza per una nuova visione del cosmo; sulle fasi di Venere, una delle “quasi” prove di Galileo a favore del sistema copernicano, si dice poco e non si capisce molto se già non lo si sapeva prima. Il celebre processo viene poi liquidato in poche righe, con una scontatezza ideologica un po’ deprimente: la sua condanna per il fatto di sostenere il sistema copernicano fece grande scalpore (secondo il pannello della mostra) in Europa e segnò un periodo di forti contrasti fra la Chiesa e la scienza.
Il dopo Galileo è trattato in modo sbrigativo. Un accenno alle leggi di Keplero (manca la terza, perché?), senza chiarire la loro importanza, e alla forza gravitazionale di Newton. E le prove del moto della Terra? Si accenna alla scoperta dell’aberrazione annua delle stelle da parte di Bradley, ma nulla si dice della prova definitiva, la misura della parallasse stellare da parte di Bessel. Un finale in tono minore.