È morto 5.000 anni fa, ma riesce ancora a far parlare di sé e accende dibattiti scientifici: è Ötzi, noto anche come Iceman, la mummia del Similaun. All’avvicinarsi del ventesimo anniversario della sua scoperta (1991) sui ghiacciai altoatesini delle Alpi Venoste, è stata annuncia la mappatura completa del suo patrimonio genetico che rende disponibile una gran quantità di dati per una rielaborazione bioinformatica che potrà aprire la strada a ulteriori scoperte.
E in questi giorni è scattata la controversia sulla sua sepoltura. Secondo l’archeologo Alessandro Vanzetti, dell’Università “La Sapienza” di Roma, e i co-autori dell’articolo “The Iceman as aburial” (pubblicato sul numero 84/2010 della rivista specializzata “Antiquity”) Iceman non perse la vita sul ghiacciaio, bensì vi fu trasferito più tardi per la sepoltura. Vanzetti ha rianalizzano l’ubicazione spaziale dell’uomo venuto dal ghiaccio nel luogo del suo ritrovamento sul Giogo di Tisa (Alto Adige): considerando la particolare posizione della mummia e integrando i dati di alcune ricerche botaniche, è giunto alla conclusione che il decesso di Ötzi non avvenne nel luogo dell’incidente, bensì in primavera nell’ambito della comunità valligiana e che il corpo fu trasferito e inumato sul Giogo di Tisa solo nel settembre successivo.
La tesi però non è condivisa dai ricercatori sull’Iceman che operano presso il Museo Archeologico dell’Alto Adige di Bolzano, dove un’intera sezione è dedicata a Iceman; essi ritengono che i pollini e la distribuzione dei reperti nel luogo di ritrovamento non siano elementi idonei a dimostrare le cause del decesso, eventuali cambiamenti corporei post mortem o rituali di sepoltura. Sottolineano come, «dal punto di vista archeologico, abbia un carattere di eccezionalità il ritrovamento sulle Alpi di una mummia risalente all’era del rame. Sebbene nelle culture sudamericane esistano luoghi di sepoltura sulle montagne e ad alta quota, nell’arco alpino non sono noti casi analoghi. Al contrario, durante l’era del rame, i cimiteri erano ubicati di norma nei pressi degli insediamenti e, anche in caso d’inumazioni molto complesse (tombe singole, collettive, sepolture primarie o secondarie, tumulazioni o cremazioni), non esistono indicazioni su tombe lontane dagli insediamenti».
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Gli archeologi del Museo segnalano che l’argomentazione etno‐storica di Vanzetti – secondo la quale in Tirolo i defunti venivano conservati dopo la morte e portati oltre i passi per la sepoltura nei cimiteri solo dopo lo scioglimento delle nevi – va ricondotta piuttosto «al sistema delle chiese cimiteriali cristiane e alle strutture del dominio feudale medievali. In quel periodo, infatti, i defunti venivano sepolti prima possibile, in base al diritto canonico, nel cimitero di competenza, allo scopo di riportarli al villaggio e non dal villaggio alla montagna. L’analogia con l’epoca cristiana si limita, dunque, alla conservazione dei corpi e, per un’epoca come quella di Ötzi, l’analogia relativa al trasferimento può essere ritenuta solo una speculazione».
Se, come descritto nell’articolo di Antiquity, l’uomo venuto dal ghiaccio fosse effettivamente deceduto a valle in aprile e sepolto solo a settembre in montagna, nonostante i tentativi di mummificazione avrebbe dovuto presentare forti segni di decomposizione e d’infestazione da insetti. «Poiché questi elementi sono assenti, si dà per assodato che il cadavere abbia sì perso gran parte dell’umidità corporea, ma che si sia congelato in brevissimo tempo, protetto da una coltre di neve e ghiaccio. Questa particolare situazione ha indotto la sua mummificazione, unica al mondo, conservando l’umidità all’interno dei tessuti. Tale processo di conservazione dell’umidità si basa sulla liofilizzazione e non può essere spiegato con una mummificazione a secco, come presumono gli autori dell’articolo».
La prova forense più importante a dimostrazione che la perdita d’umidità corporea può essere avvenuta solo nel luogo di ritrovamento è la posizione del braccio sinistro e il flusso sanguigno ininterrotto, fuoriuscente dall’arteria recisa attraverso il canale d’ingresso della freccia fino alla cute. Ciò comprova, senza alcun dubbio, che il braccio era in tale posizione esattamente al momento del decesso, quando il sangue era ancora in circolo.
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Con l’affievolirsi della rigidità cadaverica sarebbe stato facile riposizionare il braccio lungo il corpo. Vanzetti afferma, invece, che il corpo sia stato inumato intatto sul ghiacciaio e che sia scivolato lungo il pendio durante lo scioglimento dei ghiacci, facendo ruotare il braccio, come noto, davanti al petto. «Ciò è impensabile se, come gli stessi autori hanno affermato, Ötzi fosse deceduto e mummificato mesi prima. Il braccio irrigidito, infatti, non sarebbe potuto essere spostato senza provocare notevoli danni all’arto stesso o alla spalla. Per contro, tutte le articolazioni dell’Uomo venuto dal ghiaccio sono anatomicamente nella posizione corretta. Un trasporto della mummia intatta sul ghiaccio è pertanto da escludere».
Una parte importante dell’argomentazione a favore di una inumazione autunnale in montagna è costituita anche dalle analisi dei pollini di Ötzi effettuata dall’Università di Innsbruck. Vi sono tuttavia delle incongruenze nel decorso temporale della procedura di inumazione ipotizzata e l’analisi di pollini su ghiaccio disciolto non può essere utilizzata come prova. Infatti, se, come ammesso anche dagli autori, l’area del ritrovamento ha subito un disgelo, i pollini non si trovano più nella stratificazione originaria ma sono mischiati con il contenuto pollinico di strati più recenti.
La presunta inumazione sul ghiacciaio risulta quindi poco convincente, secondo gli archeologi del Museo, sia dal lato archeologico che da quello naturalistico‐scientifico. Il dibattito comunque continua.
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