L’attività di una sede locale di una associazione ambientalista può diventare occasione di valorizzazione del patrimonio naturale e storico di una regione e paradigma di una modalità di incontro e di conoscenza della natura. È accaduto alla sede locale dell’Associazione L’Umana Dimora di Forlì che qualche anno fa aveva raccolto un’opportunità offerta dall’amministrazione provinciale per far nascere un’iniziativa che sta dando i suoi frutti ancor oggi. Lo racconta a ilsussidiario.net l’architetto Renzo Tani, presidente della sede di Forlì-Cesena de L’Umana Dimora, descrivendo il progetto “Paesaggi d’Appennino”, realizzato in collaborazione col Gruppo di Azione Locale (GAL) “L’Altra Romagna”, che si è tradotto in una mostra e in una pubblicazione che ne raccoglie i principali contenuti scientifici, storici e iconografici.
Come è nata questa iniziativa?
Mostra e libro sono nati da una circostanza occasionale e al contempo da vent’anni di storia. La circostanza occasionale fu un bando per contributi per la realizzazione di progetti da parte di associazioni ambientaliste, che la Provincia di Forlì-Cesena emise sul finire del 2004; da un colloquio che allora ebbi con l’Assessore competente capii che la realizzazione di una mostra didattica itinerante, che illustrasse le peculiarità del paesaggio appenninico della Romagna, poteva far coniugare ciò che all’Assessorato interessava con il paziente lavoro che stavamo portando avanti ormai da molti anni come sede locale dell’Associazione L’Umana Dimora. La mostra infatti non si capisce se non a partire dalle moltissime uscite che dal 1988 (anno di costituzione della nostra sede), organizziamo “sul campo”, per far conoscere la bellezza ed il significato di ciò che il Mistero creatore e l’uomo con la sua opera hanno contribuito a lasciarci, cioè il paesaggio dei nostri luoghi.
Come, dove e quando sono state realizzate le immagini?
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Per le fotografie “di oggi” abbiamo innanzitutto fatto riferimento agli archivi di chi “fa” L’Umana Dimora: alcuni di noi si occupano di questi temi, anche professionalmente, da molti anni; in ogni caso, la macchina fotografica viene ampiamente utilizzata nelle nostre uscite. Da parte di tanti c’è stata così la disponibilità, quasi l’orgoglio, di mettere a disposizione il proprio “patrimonio” di fotografie; devo poi ringraziare alcuni dirigenti o funzionari di Enti per un’analoga disponibilità riguardo ai propri personali archivi. Ma le foto più belle (a parere non solo mio) sono quelle di mio padre, che negli ultimi anni della sua vita poté dedicarsi alla sua passione: fotografare la sua “terra” di Romagna. A queste immagini abbiamo affiancato fotografie “di ieri”, cioè di un passato più o meno lontano, attinte da archivi di professionisti o di semplici appassionati; infine abbiamo utilizzato anche sfondi paesaggistici di quadri e riproduzioni di carte storiche.
In che senso la mostra ha contribuito e può contribuire alla maggiore conoscenza del territorio e alla tutela dell’ambiente?
La nostra prima preoccupazione nel realizzare la mostra, anche per il suo taglio volutamente didattico, è stata che i visitatori potessero vedere i paesaggi appenninici della Romagna, da cui il largo uso delle immagini. Un’immagine può far cogliere immediatamente cose non solo sconosciute, ma anche che si credeva di conoscere e che in quel modo non le si era mai viste. Ma soprattutto l’immagine è il principale veicolo per comunicare la bellezza di un paesaggio. Dietro (dentro) uno sguardo c’è una ragione: lo stupore per la bellezza di un luogo conduce così a coglierne gli aspetti sia naturalistici che storici e culturali. Non ci si può fermare solo agli aspetti visivi, emotivi: occorre accompagnarsi per entrare dentro ciò che si vede e questo conduce a stimare – di più: ad amare – ciò che si vede. In fondo è questo che ci ha spinto a fare mostra, libro, uscite e le altre nostre iniziative. Senza questo la tutela dell’ambiente si riduce a pure regole, per quanto necessarie.
Che rapporto avete sperimentato con le istituzioni deputate alla tutela e alla gestione dell’ambiente?
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Direi fondamentalmente di leale collaborazione. La nostra proposta ha suscitato interesse e ha saputo farsi strada, a volte con fatica, al di là delle contrapposizioni, spesso stancamente ideologiche, tipiche del mondo della politica.
Come è stata utilizzata la mostra (scuole, comuni, centri culturali …)?
È stato un onore che la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì (tra i principali sponsor dell’iniziativa) abbia voluto, come prima uscita, inserire la nostra mostra all’interno del percorso “Le terre di Lega”, in occasione della grande mostra tenutasi a Forlì sull’opera del pittore romagnolo Silvestro Lega; la nostra mostra è stata così allestita in Palazzo Fantini a Tredozio (FC) e qui inaugurata il 17 Febbraio 2007 alla presenza dell’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi. Successivamente è stata allestita nei Centri Visita del versante romagnolo del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, a Forlimpopoli in occasione dell’edizione 2007 delle Feste artusiane, nel salone del Palazzo Comunale di Forlì, in alcune Scuole elementari e medie e, da ultimo, nel maggio – giugno di quest’anno nei locali del Museo di Scienze Naturali di Cesena. La mostra, composta da trenta pannelli autoportanti (75×200), è sempre a disposizione di chi ne faccia richiesta.
Quali sono gli aspetti che più vi hanno colpito e che più colpiscono il pubblico quando la mostra viene presentata?
Primo: la sua interdisciplinarietà. La realtà è una e come tale va rappresentata. Per questo mostra e libro sono stati realizzati, lavorando letteralmente ad “otto mani” (caso credo più unico che raro), da un architetto, un naturalista, un dottore forestale ed un laureato in agraria esperto di enogastronomia, sempre con indicazioni, suggerimenti, stimoli da parte degli altri amici de L’Umana Dimora. Per questo nella mostra si affrontano insieme gli aspetti naturali e culturali dei paesaggi: anzi, continuamente è a tema proprio il rapporto uomo – contesto ambientale. Dietro la mostra e il libro c’è insomma un’amicizia più che la genialità di un singolo.
Secondo: i continui passaggi di scala tra le grandi vedute paesaggistiche e l’osservazione ravvicinata di particolari significativi, cioè tra “lontano” e “vicino”. L’ampio sguardo a perdita d’occhio su monti e valli non può far dimenticare il bel fiore che si ha accanto ai piedi o l’architrave decorato di una vicina casa rurale.