Le scimmie non solo sanno usare dei gesti per esprimere, a loro modo, delle frasi dispregiative (l’equivalente delle nostre parolacce) ma sono in grado anche di apprendere e creare nel corso del tempo degli insulti nuovi. Il giornalista ed editor scientifico, nonché docente universitario, Vito Tartamella ha affrontato la questione in un lungo e interessante articolo pubblicato sul portale Parolacce.org (un sito aperto dallo stesso autore nel 2006 e dedicato interamente davvero a tutto quanto gravita, nel web come nella comunità scientifica, attorno al mondo del turpiloquio) e ha provato a spiegare come i primati ricorrano agli insulti per esternare una vasta tipologia di emozioni. Tartamella, autore di un fortunato libro sul tema e uscito in una nuova edizione nel 2013 (“Parolacce. Perché le diciamo. Cosa significano. Quali effetti hanno”, pubblicato per i tipi di BUR – Rizzoli), argomenta partendo da un singolare esperimento che è stato portato avanti per decenni e che ha visto degli scimpanzé imparare la lingua dei segni per poi successivamente utilizzarla per inventare di sana pianta “dei gesti insultanti”.
L’ESPERIMENTO CON LO SCIMPANZE’ WASHOE
Come spiega Tartamella nel suo intervento su Parolacce.org, è sì vero che i “gestacci” di questi primati che vengono spesso immortalati ad esempio allo zoo sono più che altro casuali oppure eseguiti per imitazione di alcuni buontemponi che glieli insegnano ma è altrettanto vero che dei primatologi statunitensi sono riusciti a dimostrare che le scimmie sono comunque in grado, dopo aver appreso la lingua utilizzata dei sordomuti, disaperla utilizzare per i propri scopi comunicativi e anche, all’occorrenza, per insultare. L’esperimento in questione fu iniziato per la prima volta cinquant’anni fa: nel 1967, due ricercatori dell’Università del Nevada si era proposti di insegnare ai primati la lingua dei segni per fare sì che arricchissero il loro modo di interagire con gli uomini. Come è noto, gli scimpanzé gesticolano molto proprio perché incapaci di parlare, fatta eccezione per alcuni versi. Lo studio condotto dai due ricercatori statunitensi partì dall’insegnare a uno scimpanzè di nome Washoe di 10 mesi il linguaggio dei segni, oltre che alcune semplici gesti quotidiani tipici dell’uomo: il risultato fu che, all’età di 5 anni, Washoe sapeva usare già “132 parole-segni” e ne riconosceva comunque svariate altre centinaia.
USARE I GESTI IN FUNZIONE SCATOLOGICA
La logica conseguenza di questo esperimento fu che lo scimpanzè riuscì presto a comporre vere e proprie frasi complesse e a crearsi un proprio vocabolario nel caso in cui non riusciva a riconoscere un segno. Ed è qui che, nella spiegazione fornita da Tartamella, si arriva alla parte più interessante: Washoe si esprimeva proprio alla stregua di un bambino, metteva in correlazione tra di loro segni e oggetti, “utilizzando i simboli per tenere sotto controllo il suo mondo ed esprimere dei sentimenti”. Insomma, anche le scimmie sono in grado di usare le parole come degli utensili, ovvero degli strumenti che poi vengono adoperate per uno specifico contento linguistico, confermando di fatto anche le teorie di Charles Darwin secondo cui “il linguaggio degli uomini deriva dall’intelligenza delle scimmie”. E tra le invenzioni linguistiche di Washoe ecco che, pian piano, cominciarono ad apparire quelle che possono essere considerate delle vere e proprie parolacce. Rifacendosi a un fondamentale testo di Roger Fouts a proposito dell’esperimento, Tartamella ricorda come Washoe usasse tranquillamente alcuni gesti in funzione scatologica, utilizzando quel segno che i ricercatori avevano codificato come “sporco” per indicare un’altra scimmia.
I GESTACCI PER ESPRIMERE EMOZIONI E NON RICORRERE ALLA VIOLENZA
A influenzare lo scimpanzè a tal punto da cominciare a usare dei gesti insultanti è stato l’avere introdotto, all’interno della sua vita, dei precisi “tabù sulle sue funzioni corporali”, per cui se la parola “sporco” prima indicava gli escrementi ecco che in seguito lo stesso termine veniva usato come un insulto contro un’altra scimmia (in questo caso un macaco) che per Washoe rappresentava una minaccia. Secondo Tartamella, questo episodio si spiega col fatto che “le parolacce nascono nei gruppi sociali in cui si crea un sistema di valori binario” che divide le azioni buone e permesse da quelle cattive e rifiutate. Dunque le azioni cattive e i loro referenti verbali non solo vengono usate per esprimere emozioni negative, ma anche per “trasgredire e provocare” come faceva Washoe. In conclusione, il giornalista ricorda che la vicenda terrena della scimmia Washoe si è conclusa quasi dieci anni fa, nel 2007, all’età di 42 anni ma l’esperimento che l’ha vista per tanto tempo protagonista insegna che le specie di animali più intelligenti come i primati sono in grado di ricorre alle parolacce per esprimere sentimenti complessi come anche rabbia e frustrazione e, aspetto non secondario “per ridurre la violenza fisica”, avvertendo gli altri animali che… è meglio stare alla larga!