Meglio mal accompagnati che soli… Dopo le parole del ministro Fedeli che stiamo per svelarvi (e che magari avrete già sentito in giro in queste ultime ore) si potrebbero invertire anche i “detti” come quello iniziale o i luoghi comuni che vedono una scuola sempre divisa tra insegnanti-professori-presidi. Ecco, ora sono tutti uniti. Contro la Fedeli. Ma capiamo bene cosa è successo, partendo però dal fondo (ci sentiamo in vena di stravolgere il senso anche noi oggi, ndr): «gli studenti minori di 14 anni vanno consegnati a un maggiorenne alla fine delle lezioni, i genitori che pensano per diversamente devono farsene una ragione e trovare soluzioni alternative se non possono prenderli loro al termine dell’orario scolastico. Questa è la legge. Le scelte dei presidi sono collegate a leggi dello Stato italiano. Per cambiarle serve un’iniziativa parlamentare». Lo ha detto ieri mattina a Tagadà su La7 in merito all’ultima sentenza della Cassazione che vediamo più nel dettaglio nel paragrafo qui sotto; insomma, se fino ad oggi alle scuole medie i nostri figli e noi prima di loro, eravamo abituati a tornare e andare a scuola con le prime importanti e decisive prese di responsabilità e autonomia degli adolescenti, oggi non è più possibile. O almeno, la legge lo vieta già da tempo; ma la soluzione “perfetta” pensata dal ministro è quella che le famiglie, che già fanno salti mortali tra lavoro, casa, pagamenti e figli proprio per maniere una dignitosa vita familiare, debbano lasciare lì il lavoro e andare a prendere i figli adolescenti a scuola. Non possono? «Ci mandino i nonni, miei nipoti sono piccoli, e non ci riesco mai, ma è così piacevole per noi nonni farlo»: sì, lo ha detto per davvero anche questa seconda affermazione. Ha parlato di mamme e di nonne, e se il ministro ce lo permette, ha compiuto un “peccato capitale” al suo stesso “vangelo” genderista: chi l’ha detto che non possano essere i padri o i nonni ad assolvere a questo compito? Cos’è, facciamo discriminazione sugli accompagnatori? Ci siamo permessi un sollazzo, lo ammettiamo, ma la legge ci riporta subito alla cruda realtà..
DA DOVE NASCE LA DISPUTA
Vien facile da replicare, come già in tanti hanno fatto in questi giorni, «come fanno i nonni se li obbligate a lavorare fino a 70 anni ad andare a prendere i nipoti??», ma in effetti la “presunzione” di risolvere un dilemma importante come quello dell’accompagnamento dei minori fa scatenare risposte del genere. La vicenda su cui la suprema Corte ha espresso la sentenza è relativa alla morte di un ragazzino di 11 anni a Firenze quindici anni fa. Era uscito da scuola ed è stato investito da un autobus: in sostanza, la Cassazione ha deciso che il coinvolgimento di un minore in un incidente fuori dal perimetro scolastico «non esclude la responsabilità della scuola. Secondo i giudici l’obbligo di vigilanza in capo all’amministrazione scolastica, discendeva da una precisa disposizione del Regolamento d’istituto». La nota di questi giorni del Miur è altrettanto chiara: «Le scelte e le decisioni dei presidi, in materia di tutela dell’incolumità delle studentesse e degli studenti minori di 14 anni sono conformi al quadro normativo attuale, come interpretato e applicato dalla giurisprudenza. È una questione di assunzione di responsabilità nell’attuazione di norme che regolano la vita nel nostro Paese, pensate per la tutela più efficace delle nostre e dei nostri giovani». Insomma la scuola ci va di mezzo, le famiglie pure, mentre gli unici a rimanere “intoccabili” sono alcune “fantastiche” leggi che fino alla Cassazione e alla sua sentenza nessuno realmente pensava esistessero.
UN CASO DA DIRIMERE
Secondo la legge non varrebbe neanche una liberatoria del genitore nel sollevare le scuole da ogni tipo di responsabilità: questo perché secondo la legge il minore di 14 anni sarebbe considerato “incapace” e quindi la sicurezza dei minori non sarebbe un bene giuridicamente disponibile, né da parte dei genitori né da parte del personale scolastico. Il tema è delicato visto che da un lato si rischia l’abbandono di minore, dall’altro la responsabilità istituzionale se qualcosa dovesse capitare al ragazzo appena prima o appena dopo la scuola. Un caso per nulla “banale” che però le parole della Fedeli non hanno certo aiutato a rendere più chiaro e non teatro di scontro, ennesimo, tra politica e società civile. Due risposte, entrambe della maggioranza di governo, ci sembrano le più ragionevoli per entrare nel merito del caso e provare a dirimerlo: «È assurdo che un ragazzo di 14 anni non possa tornare a casa da scuola da solo. È vero, lo dice la legge. Allora cambiamo la legge», scrive Maurizio Lupi (Ap) su Twitter. Ma anche dal Pd arrivano delle “correttive” a quanto riferito dal responsabile Miur: «Comprendiamo le preoccupazioni della ministra Fedeli: la sentenza della Corte di Cassazione di Firenze ha aperto una questione delicata rispetto al tema dell’uscita da scuola dei ragazzi delle medie. Tuttavia, crediamo sia necessario trovare una soluzione che consenta ai genitori di scegliere se far tornare o meno i figli da soli a casa e che liberi i dirigenti scolastici da ogni responsabilità. Per questo, assieme ai colleghi del Partito democratico in commissione Istruzione, sto preparando una proposta di legge che intervenga per risolvere una situazione che sta creando comprensibili disagi tra i genitori e il personale della scuola», spiega a Repubblica Simona Malpezzi, responsabile Scuola del Pd. Laddove i dubbi sulle leggi siano innegabili, forse un po’ di “logica” non solo politica, ma umana, potrebbe servire ad iniziare un tentativo di soluzione, anche all’interno dei tavoli del Miur. Sempre che il ministro non debba improvvisamente andare a prendere i nipoti “bamboccioni”, visto che mentre stanno per prendere il motorino non possono tornare a casa da soli…
È assurdo che un ragazzo di 14 anni non possa tornare a casa da scuola da solo. È vero, lo dice la legge. Allora cambiamo la legge.
— Maurizio Lupi (@Maurizio_Lupi) 27 ottobre 2017