La notizia è che sarebbe stato individuato un farmaco antimicrobico, attivabile dalle radiazioni luminose, che si propone come arma vincente nella lotta contro il pericoloso Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA). Ne ha parlato Linda Dekker, dello University College di Londra al recente convegno della britannica Society for General Microbiology. Ma quali sono i termini del problema cui questa novità vorrebberispondere e quali chance si intravvedono per il futuro?
È trascorso poco più di mezzo secolo dalla scoperta del primo antibiotico (la penicillina, un composto naturalmente prodotto da un fungo) e nei decenni successivi la ricerca ha consentito sia l’identificazione di nuovi composti ad azione anti-batterica sia la sintesi di varianti di molecole già note; tuttavia, ancor più rapidamente e drammaticamente è aumentata la rilevanza delle antibiotico-resistenze, della capacità cioè dei microrganismi di disattivare l’antibiotico per via enzimatica o di bloccarne o by-passarne l’azione. Il fenomeno delle resistenze, spesso multi-resistenze, rappresenta senza dubbio una conseguenza della pressione selettiva esercitata dall’uso massiccio degli antibiotici sia in ambito medico per il trattamento delle infezioni, soprattutto quelle ospedaliere dovute a microrganismi opportunisti, sia in ambito veterinario. Infatti, si ritiene che la somministrazione di antimicrobici – oggi si preferisce parlare di composti “antimicrobici” piuttosto che di antibiotici – in zootecnica a scopo curativo, ma ancor più a scopo di profilassi (in passato gli antibiotici venivano utilizzati anche per un terzo scopo, come fattori di crescita) sia una delle cause più importanti dell’emergere del problema “resistenza”, considerata una vera e propria minaccia per la sanità pubblica.
Oggi conosciamo con precisione, a livello biochimico e genetico, i meccanismi di azione dei composti antimicrobici, come pure quelli attraverso i quali si sviluppa la resistenza, e sono state attuate anche politiche di controllo sempre più rigorose dell’uso di questi composti (protocolli di trattamento in ospedale e limitazioni dell’uso in veterinaria). Tra le specie batteriche resistenti che hanno destato una grande preoccupazione si possono ricordare Psueudomonas aeruginosa (un microrganismo ambientale spesso coinvolto in gravi infezioni opportuniste) e Staphylococcus aureus. Per quest’ultimo la resistenza critica è quella nei confronti della meticillina, tanto che oggi si usa per brevità l’acronimo MRSA (methicillin-resistant-S.aureus), agente di infezioni in diversa sede sia in pazienti ospedalizzati (hospital-acquired infection) che a livello di extra-ospedaliero (community-acquired infection) o anche infezioni in ambiti particolari come strutture residenziali per lungo-degenze, riabilitazione ecc..
La gravità della minaccia rappresentata dall’incremento del fenomeno e la convinzione che non appare molto probabile l’introduzione sul mercato di nuove molecole, hanno indotto a considerare la possibilità di trovare strade alternative del tutto diverse per combattere le infezioni batteriche. Uno di questi tentativi è rappresentato della terapia fotodinamica: in breve si tratta di utilizzare delle molecole fotosensibili (Light-Activated Antimicrobial Agents: LAAAs) che utilizzando sorgenti di luce a particolari lunghezze d’onda generano ossigeno e radicali liberi in grado di attaccare direttamente la membrana o altri target della cellula batterica provocandone la lisi; l’approccio è analogo alla fototerapia molto più ampiamente utilizzata in ambito oncologico (es. per i tumori della cute). In realtà, nella letteratura scientifica l’uso di composti fotodinamici è tutt’altro che nuovo, essendo già riferito nel 1900 da Raab, che aveva dimostrato la tossicità dell’idrocloruro di acridina nei confronti di Paramecium caudatum: pochi anni dopo (1904) H. von Tappeiner introdurrà l’espressione “reazione fotodinamica”. Questo approccio viene oggi ritenuto possibile per trattare infezioni superficiali (ferite infette, anche chirurgiche, ulcere varicose, infezioni complicanti le ustioni, infezioni di interesse odontostomatologico ecc.), accessibili all’applicazione delle LAAAs e della luce; tuttavia è stato anche ipotizzato che con le più moderne tecnologie a fibre ottiche la chemioterapia antimicrobica basata sulla reazione fotodinamica potrebbe diventare possibile anche per il trattamento di infezioni in sedi profonde.
Le molecole e il tipo di sorgenti di luce e di lunghezze d’onda utilizzate per ottenere la reazione fotodinamica sono diverse e ne è stata studiata l’efficacia sia nei confronti di microrganismi Gram positivi (es. S. areus) che Gram negativi (es. P. aeruginosa), in genere con migliori risultati per i gram positivi. La tecnica è stata anche valutata nei confronti di miceti (Criptococcus spp.) e virus, ma in questo secondo caso non per il trattamento di infezioni in vivo, ma allo scopo di disattivare i virus in campioni di sangue. Diversamente dai tradizionali trattamenti con molecole antibiotiche, la terapia fotodinamica potrebbe avere il vantaggio di non selezionare ceppi resistenti; ma avere svantaggi derivanti dalla natura aspecifica del meccanismo d’azione. È stato per esempio documentato sperimentalmente (cioè nell’animale) che l’effetto citotossico che porta a morte le cellule batteriche potrebbe rallentare la riparazione dei tessuti in caso di ustioni. Complessivamente si ritiene che la capacità di eccitare la sostanza fotosensibile nelle sua sede-bersaglio dovrebbe assicurare minimi effetti sui tessuti circostanti e, per rendere più specifico il trattamento, è anche stato ipotizzato di utilizzare anticorpi capaci di legarsi alla molecola fotosensibile.
Per concludere, si può affermare che la chemioterapia antimicrobica basata su reazioni fotodinamiche rappresenta uno strumento interessante; anche se non potrà certo sostituire il più tradizionale trattamento con farmaci antimicrobici. La ricerca di nuove molecole antibiotiche, soprattutto per la cura delle infezioni sistemiche, rimane comunque un’esigenza di primo piano. Tuttavia non si possono trascurare i vantaggi, per le infezioni superficiali, connessi all’approccio fotodinamico in termini di velocità di azione e di minori costi; inoltre in questi casi, poter evitare il ricorso agli antibiotici concorre a ridurre la probabilità di insorgenza delle resistenze a farmaci indispensabili per il trattamento delle infezioni più gravi.