«Partire contro vento non é difficile, lo sai. / Lo è senza un saluto caso mai». Nei versi di questa vecchia canzone mi pare riecheggi tutta la dinamica che coglie la questione migratoria come un evento familiare.
Chi parte, anche se è apparentemente solo, lo fa per un preciso mandato familiare. Si muove per esso, orienta le sue scelte in base ai bisogni della famiglia, alle aspettative di chi resta nella terra di origine.
È un partire “contro vento” quello di chi va, “apparentemente solo”, presso altre culture, in altre nazioni. Ma chi va è sospinto nel suo viaggio dal vento favorevole del mandato familiare, dal fatto di scegliere un destino difficile per sé, perché altri possano, forse, averne uno migliore.
Senza il saluto della famiglia sarebbe davvero troppo difficile: “saluto” ha la stessa radice di salvus, quindi il saluto della famiglia salva, è il viatico che salva il migrante, accompagnandolo.
Dunque la migrazione è un evento famigliare: anche se non sempre siamo capaci di vedere questi legami invisibili, ma tenaci e primari (nel senso che vengono prima di tutto, anche prima della paura per l’incognito) che muovono le persone (le persone al plurale, non l’individuo).
Così, la prima generazione di migranti ha un obiettivo chiaro: si muove per la famiglia. Combatte una grande sfida ma non da sola, per diventare testimone di una storia familiare che è altrove. E la parola “testimone” significa, non a caso, “ponte”, tra chi è rimasto e chi è andato, tra culture diverse che si incontrano nel destino delle persone, quindi, delle famiglie.
Del tutto diversa la storia della seconda generazione: i figli di chi ha compiuto la scelta migratoria, non provengono da questo processo familiare transnazionale, non hanno ricevuto questa investitura “famigliare”, a volte non possiedono i codici culturali per capirla.
La loro è spesso la storia di chi decide di rimuovere le radici originarie per metterne di nuove, che affondino in una terra diversa per lingua, valori, abitudini; di innestare un patrimonio familiare, non accostato in prima persona, in un humus più noto perché sperimentato nella quotidianità, ma da cui non si proviene.
Chi riesce in questa mission impossibile, dà nuova linfa alla storia familiare, rinverdendola con nuove relazioni e nuove modalità di vivere le relazioni dentro la famiglia e nei contesti sociali di appartenenza, ampliando l’orizzonte di quest’ultima al non ovvio e all’imprevedibile.
Si tratta davvero di una bella sfida, come quella, probabilmente, di reggere la nostalgia per un saluto che può solo arrivare attraverso generazioni familiari che ne abbiano conservato e custodito con cura e premura, la memoria.
Tutto questo e molto di più nel volume curato da Eugenia Scabini e Giovanna Rossi, dal titolo La migrazione come evento familiare, “Studi interdisciplinari sulla famiglia”, n. 23, Vita e Pensiero, Milano, 2008.
(Lucia Boccacin)