Il pensiero di Antonio Rosmini si distingue da varie riduzioni del “liberalismo” conservando al suo fondamento il momento trascendente della persona. Con quali conseguenze? Lo spiega Markus Krienke, docente di Etica sociale nella facoltà di Teologia dell’Università di Lugano.
Lei sottolinea che Rosmini, nel suo pensiero politico, elabora una comprensione della “sussidiarietà” che ancora oggi può aiutare ad intendersi su questo termine. Per avvicinarsi a quest’ultimo, forse conviene partire da uno sguardo sulla sua concezione politico-sociale di fondo.
Infatti, innanzitutto bisogna interrogarsi su quel “liberalismo rosminiano” che a ragione è stato definito più acconciamente un “liberalismo sui generis”, in quanto si distingue da vari riduzionismi del “liberalismo” conservando al suo fondamento il momento trascendente della persona. In questo modo, il suo “liberalismo” non si oppone per definitionem alla religione, anzi in un certo senso la richiede. Inoltre, la persona in questa sua accezione integrale è il «diritto umano sussistente», fondamento personalistico del diritto che è «una facoltà libera, una libertà».
Da questa concezione personalistica, quali conseguenze derivano per il rapporto tra “individuo” e “società”?
Innanzitutto, per Rosmini la persona umana si esplicita nelle sue relazioni costitutive. Queste sono tre di genere: innanzitutto la persona si sviluppa nei legami della famiglia, che esprimono la relazionalità naturale della persona; in un secondo momento essa si relaziona verso gli altri nei legami della società, e – fondamentalmente e nella dimensione del suo “radicamento” – essa si trova nella relazione verso l’assoluto, la trascendenza, Dio. Sono queste le tre relazionalità che possono essere tradotte, secondo Rosmini, in forma giuridica. In esse si esplicita una reinterpretazione personalistica di un classico “diritto naturale” ossia la pretesa morale-vincolante della “libertà morale” che si esprime nel «diritto umano sussistente»: la libertà dell’individuo si concretizza nella famiglia, nella società e nel suo rapporto trascendente.
Quali conseguenze ha questa fondazione di un diritto personalistico per il concetto di “sussidiarietà”?
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Le conseguenze sono immediatamente palesi se si considera che queste tre relazionalità sono anche i tre prototipi delle categorie fondamentali dei diritti: diritto “famigliare” (domestico), “sociale” (civile) e “teocratico” (senza che Rosmini volesse alludere ad una comprensione politica del termine). Importante è da sottolineare che per il Roveretano il diritto “domestico” e quello “teocratico” precedono quello “civile”: a differenza di quest’ultimo essi tematizzano i beni della persona quali sono gli «oggett[i] de’ diritti», mentre la dimensione civile è derivata e perciò sussidiaria, perché non realizza i beni originari della persona bensì «solamente la più utile ed opportuna modalità di essi».
Cosa comporta il primato della dimensione trascendente nel definire il diritto?
Siccome il «diritto umano sussistente» si radica irriducibilmente nella sua relazione trascendente, «la sola società teocratica esiste qual società di diritto anteriormente ai fatti dell’uomo». Infatti, già nella «società domestica» entra la volontà libera dell’individuo a stringere la «società coniugale», per cui essa non tematizza i «beni della persona» ma i «beni della natura». Ma mentre queste due società dei beni fondamentali della persona hanno una vera e propria «essenza», nel caso della «società civile» Rosmini non trae questa conseguenza, in quanto solo «nel comporsi e realizzarsi questa dall’uomo si viene formando quella» – posizione liberale ed anticostruttivista. Come conseguenza risulta che per Rosmini il rischio della libertà non sta nell’elemento individual-trascendente ma essa viene minacciata da quello sociale qualora esso diventi collettivistico.
Per riassumere la concezione rosminiana sulla “sussidiarietà” quindi in un pensiero conclusivo, come si potrebbe formularla?
Per Rosmini, la «società civile» non costituisce una società necessaria dell’uomo. Quindi egli concepisce non solo lo Stato come sussidiario all’individuo, ma già la società civile stessa. Questo nuovamente per sottolineare che i suoi diritti originali all’uomo derivano in nessun modo dalla collettività, alla quale spetta invece «l’autorità di regolare la modalità de’ diritti, e nulla più». Da ciò segue che principio dell’ordinamento pubblico dev’essere l’individuo, e che, a livello istituzionale, esso deve essere indirizzato positivamente alla Religione e alla Famiglia. Questo perché solo nel rispetto della finalità della stessa persona – sia quella trascendente (persona) sia quella relazionale (natura) – l’ordinamento può dirsi personalistico e riconosce veramente la libertà dell’individuo che non è semplicemente “negativa”, ma “morale”.
Sta qui il concetto etico, e non meramente politico, della sussidiarietà?
Sì. In questa costellazione, proprio la relazione trascendente dell’individuo è la garanzia della sua libertà nell’ordinamento politico-sociale, in quanto è essa l’unica relazione che si sottrae per la sua “tipologia” dalla pianificazione statale. Quindi, di conseguenza, Rosmini argomenta contro i fraintendimenti del liberalismo nella modernità in questo modo: chi pensa di dover basare il “liberalismo” sulla negazione della dimensione trascendente dell’uomo, ha già perso le basi dello stesso.