Il bilancio della scuola reale sarà definitivo solo al compimento dell’anno scolastico 2008-09. Ma intanto il Servizio statistico del Ministero della pubblica istruzione ha appena pubblicato un “Notiziario” relativo agli scrutini intermedi 2008-2009. I dati segnalano, con il lessico solitamente ovattato del Ministero, “un livello critico piuttosto elevato”. E c’è da crederci!
Nella secondaria di I grado solo il 52% dei ragazzi raggiunge tutte le sufficienze; ma nella secondaria di II grado la percentuale scende al 26%. Del resto “i livelli di insufficienza nel I grado tendono ad aumentare con il procedere degli anni”: il primo anno si arriva al 43% delle insufficienze. Di lì si parte per peggiorare. Per quanto riguarda la scuola di II grado, il 68% degli studenti arriva dunque alla vigilia dell’esame di Stato senza la sufficienza in tutte le materie. In tutti i tipi di indirizzo c’è un peggioramento dall’anno scorso a quest’anno: per es. il Liceo scientifico passa da 61,9% a 66,9% di studenti insufficienti, l’ex-Istituto magistrale dal 67,4% al 71,9%. I numeri confermano il divario territoriale tra l’Italia insulare, meridionale, centrale e quella del Nord così come la distanza tra i Licei classici, con il 61,9% di studenti insufficienti, e gli Istituti professionali, con 81,5% di insufficienti. Si profila un massiccio ricorso al “6 politico”.
Nulla di nuovo, si dirà, eccetto un fatto: il peggioramento di tutti i dati. Con questa condizione deve o dovrebbe fare i conti la politica scolastica. Ma il paesaggio che si intravede, ad un anno dall’inizio della nuova legislatura, non è invitante. I tagli: si incomincia a vederli dispiegati su tutto il sistema. Non solo tagli differenziati, bensì lineari. Con impatto sopportabile al Nord, più traumatico al Sud. Ciò anche per effetto di una lunga catena di inadempienze e di complicità dell’amministrazione scolastica centrale e periferica. Si era detto e promesso che solo una politica di riforme poteva rendere i tagli intelligenti e produttivi. Ma la riforma dei Licei è stata rinviata, quella degli istituti tecnici sta forse arrivando sul tavolo del Consiglio dei ministri.
Quando alla “formazione iniziale” degli insegnanti doveva passare oggi stesso alla Commissione istruzione della Camera. Ma la marea di critiche che l’ha presa di mira ne ha bloccato, fortunatamente, l’iter. Una delle materie fondamentali di esercizio dell’autonomia scolastica, quella della formazione iniziale e della valutazione del personale, viene sottratta alle scuole. Con la retorica dell’autonomia si dà, con i fatti si toglie! Resta in corsa il PdL Aprea, che dovrebbe approdare alla riformulazione in un testo unico prima delle elezioni europee.
Di lì in avanti toccherà al Governo muoversi. Ed è evidente che il quadro politico post-elettorale sarà decisivo, ma non necessariamente favorevole. Dal dopoguerra al 2001 erano arrivati al numero di 34 i tentativi falliti di riforma della scuola. Ora è chiaro che vi si deve aggiungere anche la messa in frigidaire della Legge 53 del 2003, la Riforma Moratti. Spinta da Fioroni sul binario morto, là è stata lasciata dal Ministro Gelmini. E siamo a 35! Intanto interessanti ricerche indicano che una consistente minoranza di docenti incomincia a condividere e a chiedere politiche di innovazione. L’ultima, commissionata a Nomisma dall’ANP, rivela che il 25% dei docenti è persino favorevole alla chiamata diretta dei docenti da parte delle scuole. Su altre linee di innovazione, per es. la valutazione, le carriere ecc…, le percentuali salgono. Ai docenti e agli operatori a vario titolo che si occupano di politiche della scuola non sfugge ormai che il crinale politico-culturale nella scuola tra conservazione e innovazione non coincide più con quello che separa i campi della politica tra centro, sinistra e destra. Detto in altro modo: il blocco conservatore recluta in tutti i campi così come quello innovatore.
Prenderne atto non invita a praticare un ecumenismo furbesco-centrista. Spinge semmai ad una domanda più radicale, forse disperata, di sicuro liberatoria: è ancora possibile riformare il modello vigente di sistema educativo nazionale? La risposta è no. Questo modello non è più aggiustabile con qualche pezzo di ricambio, con qualche manutenzione, con qualche escamotage, con qualche fornitura di “supplemento d’anima”. I ministri passano il tempo a spingere verso l’alto il masso che poi rotola sempre a valle.
Occorre inventare un altro modello, con altri fondamenti culturali, con altra strumentazione istituzionale. Per aprire la strada a questo “altro” le condizioni sono già presenti: una battaglia culturale ispirata al principio rivoluzionario della sussidiarietà e prassi innovative diffuse molecolarmente in Italia, in Europa, nel mondo. Il cambiamento verrà dall’accumulazione originaria di nuovi pensieri e nuove pratiche.