Di che cosa c’è bisogno oggi per insegnare bene? Sicuramente, di fornire ai giovani categorie chiare per leggere la realtà. La scuola consegna una tradizione: che sia la storia antica o la fisica del Novecento, la lingua inglese o il teorema di Pitagora, si tratta sempre di un’eredità che proviene dal passato — remoto o recente, a seconda dei casi — e che è degna di essere conosciuta in quanto ricca di senso, tanto che ci aiuta a renderci conto con più intelligenza del presente. Ecco allora che il compito dell’insegnante è quello di favorire l’incontro dei suoi studenti con la tradizione e, in forza di essa, suggerire il confronto con l’oggi.
Mi sono convinto una volta di più della necessità di insegnare in questa direzione poche settimane fa. Con un gruppetto di ragazzi che hanno scelto l’opzione di latino stavo leggendo una pagina di Paolo Diacono, importante scrittore dell’età di Carlo Magno, il quale nella sua Storia dei Longobardi riferisce di un prodigio che si sarebbe verificato nello stretto della Manica, ossia un tremendo vortice marino che, due volte al giorno, inghiotte le navi (I, 6). Egli fa notare che lo stesso fenomeno è raccontato da Virgilio nell’Eneide, quando scrive di Scilla e Cariddi (i due mostri che presidiano lo stretto di Messina), e ne cita i versi (Aen. III, 420–423).
In classe ho osservato che Paolo Diacono indica tre fonti attendibili per dare credibilità al suo racconto: quel che ha sentito dire per interposta persona, quel che è stato raccontato a lui stesso, e le parole di Virgilio. E qui si è aperto il finimondo delle proteste e delle obiezioni: “No, scusi, ma come fa Paolo Diacono a pensare che una cosa è vera perché l’ha detta Virgilio — tra l’altro, uno scrittore! — secoli prima? È come se io mi fidassi, che so… di Dante!”. “Ma sì, quelli erano medievali…”. In quel momento ho capito che in gioco non c’erano solo obiezioni semiserie e pretestuose di alcuni ragazzetti, ma un reale scandalo da parte loro e, per me, l’occasione di misurarmi con il paradigma scientista della conoscenza che permea la nostra epoca.
Cogliendo la palla al balzo, ho perciò domandato a chi crediamo noi oggi, chi ci può dire qualcosa di vero su quel che succede nel mondo. “Beh, i giornali, Internet, Google Maps”. “Siete sicuri che i giornali dicano sempre la verità?”. “Ma certo, scusi! I giornali verificano prima quello che scrivono, quindi danno informazioni vere”. Con un sorriso interiore di bonaria comprensione, mi sono permesso di distinguere tra la giusta affidabilità che riconosciamo ai mass media, e la cautela che pur ci vuole per non accettare di tutto acriticamente. Del resto, ho fatto presente che anch’io uso Google Maps e credo alla scienza; ad esempio so per certo che c’è la Nuova Zelanda e non ci sono mai stato.
Insomma — ho proseguito — anche noi oggi, per conoscere e per vivere, abbiamo bisogno di credere a qualcuno. La differenza tra noi e il Medioevo non è che “loro credevano a tutto, che ingenui”, mentre noi siamo “scientifici” e sappiamo tutte e sole verità. Il discrimine è piuttosto questo: chi è degno di fiducia? L’antichità e alcune età seguenti ritenevano degna di fiducia la parola autorevole di un maestro (non a caso Dante dice proprio a Virgilio: “Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore” – If I, 85), noi no. Abbiamo cioè generalmente perso — o meglio, vi abbiamo voluto rinunciare — la categoria dell’auctoritas, del magistero sicuro che proviene da chi è più grande di noi.
D’altro lato, ho voluto rassicurare i miei studenti: negli ultimi secoli la scienza ha davvero fatto grandiosi progressi, e ci offre tante valide conoscenze! Accettare l’insegnamento dell’auctoritas non esclude affatto l’avvalersi della scienza né della tecnologia: Virgilio non è in contrasto con un esperimento scientifico o con l’uso di Internet. Del resto, il momento cruciale del conflitto tra certezza scientifica e certezza della tradizione arriva con l’Illuminismo… ma stavo facendo un’ora di latino alla scuola media, perciò mi sono limitato a un accenno, che però mi sembrava importante offrire, per permettere ai miei ragazzi di fare qualche collegamento tra epoche e autori che hanno sentito nominare almeno una volta, e le loro inossidabili idee.
Una cosa è certa: mai avrei immaginato che leggere Paolo Diacono desse adito a un dibattito, serio e sentito da parte dei ragazzi, sull’attualità. Invece, per dei brillanti e benintenzionati quattordicenni di oggi è proprio un problema pensare che uno scrittore del passato abbia da insegnare, che si possa sapere qualcosa di vero anche non tramite la tecnologia e i mezzi di comunicazione di massa, e che invece questi stessi mezzi non siano i depositari assoluti della verità!
A fronte di tale situazione, un’educazione significativa e intelligente deve avere a cuore di mostrare il vigore del passato, nel suo legame illuminante con noi, e la molteplicità dei metodi di conoscenza, che si esprimono nella varietà delle discipline scolastiche. In quest’opera rientra a pieno titolo l’esaltazione del pensiero scientifico moderno, che va ben distinto dalla cieca fiducia nello scientismo tecnologico.
A chi spetta tale compito? A noi insegnanti: ciascuno per sé, ma anche, potendo, insieme, nella condivisione di giudizi, scoperte di studio e tentativi didattici. Aiutiamoci in questo lavoro.