Alle soglie del 2 agosto, il giorno del 1980 in cui fu eseguita la strage di Bologna, la vecchia casta è sembrata rinascere a nuova vita. Ha vissuto con inconsolabile timore e tremore la fine della guerra fredda, ma da alcuni mesi ha rimesso in testa l’elmetto e ha armato la mano di libri che (pessimamente) la evocano.
Su Rai 3, nella rubrica La grande storia (autrice Chiara Zanini) è stato rievocato il delitto come solo la virtù inesausta del conformismo avrebbe potuto: interviste a Giuseppe Giampaolo, un avvocato nei secoli fedele al Pci (membro assiduo di collegi di difesa approntati da Comune, Provincia e Regione) e a Leonardo Grassi, un magistrato della prima fase del processo.
Il tono dominante è stato che quella di Bologna era una strage annunciata.
Non hanno torto. Chi legge gli atti processuali iniziali raccolti nel volume La strage (con prefazione di Norberto Bobbio, Editori Riuniti) resta impressionato dagli episodi, dai protagonisti (soprattutto di ambienti militari e dei servizi) che dopo il 25 aprile hanno ordito attentati e colpi di mano contro la democrazia repubblicana. Quel lavoro di raccolta di fatti e documenti va apprezzato per quel che è: un contributo prezioso a capire i pericoli che il regime politico succeduto alla monarchia e al fascismo ha corso e da dove questi sono venuti.
Ma non basta dire che sulla carneficina del 2 agosto (ben illustrata nella trasmissione citata) a vincere è stato l’antifascismo. Non ha senso utilizzare per un fenomeno nuovo come il terrorismo una vecchia maschera e uno stanco rito esecratorio.
E si è dimenticato un piccolo particolare. I circa 300 esponenti (intellettuali, picchiatori, criminali, parlamentari, professionisti) indicati inizialmente come mandanti ed esecutori dell’infame strage, sono stati progressivamente “liberati” da ogni accusa. Ad essere condannati sono stati solo in tre: erano killer, di cui due di professione, e tutti appartenenti ai Nuclei armati rivoluzionari (Nar), cioè Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.
La magistratura ha fatto la sua parte. L’impostura, costruita da alcuni dei suoi membri bolognesi, sulla congiura, il complotto, il progetto eversivo eccetera che sembrava fosse stata ordita dalle centinaia di membri, per un titolo o per l’altro, dell’area neofascista, si è rivelata una bolla di sapone. Un sospetto alimentato con molti indizi, ma senza prove.
Non precisare che questo è stato l’esito dei numerosi processi avutisi nei decenni sulla strage di Bologna significa trasformare la “grande storia” (il titolo di cui si fregia la rubrica di Rai 3) in uno strumento mediatico per raccontare una grande balla.
Possibile che quell’organo partitocratico totalmente inutile (salvo che per l’assegnazione di posti, incarichi, stipendi, rimborsi, gettoni di presenza, mance varie) che è il Consiglio di amministrazione della Rai, non prenda dei provvedimenti sanzionatori al fine di porre fine a questa pratica omissiva e distorsiva in un servizio pubblico, ormai insopportabile? Che cosa ha a che fare col giornalismo una trasmissione che non evita la parzialità, esclude il contraddittorio e in questo modo alimenta la più plateale disinformazione?
La seconda menzogna spacciata è che i magistrati avrebbero sin dal primo momento fatto indagini in tutte le direzioni, compreso il contesto internazionale in cui la strage potrebbe essere maturata.
Le cose non stanno così. Un magistrato come il dott. Grassi dovrebbe sapere che i suoi colleghi Enrico Di Nicola e Paolo Giovagnoli hanno dichiarato, e più volte ripetuto, in sedi istituzionali come la stessa Commissione parlamentare d’inchiesta, che prima del 2005 agli atti del Tribunale non esisteva alcun riferimento a terroristi come Thomas Kram, Abu Saleh Anzeh e Carlos.
La verità è che esistevano. Forse sarebbe più corretto dire che forse non c’è stato un precipuo interesse a valorizzare tali fonti per quel che avrebbero potuto essere: lo stimolo a indirizzare le indagini su una pista diversa da quella della del neofascismo stragista, cioè sul terrorismo arabo-palestinese, sostenuto dal duce libico Gheddafi e dall’Unione Sovietica.
Protagonisti sono terroristi tedeschi Thomas Kram e Christa Margot Frohlich, presenti (senza dubbio il primo) a Bologna proprio il giorno della strage. Erano attivisti dell’ultra-sinistra tedesca. Alcuni (come Kram) vantavano un’esperienza anche negli esplosivi. Avevano inizialmente militato nelle Revolutionäre Zellen (Cellule rivoluzionarie), poi nel famigerato gruppo Carlos.
Ebbene su di essi, con grandissimo ritardo, la procura di Bologna aprirà un’inchiesta. Durerà nove anni, e si concluderà il 30 luglio 2014 con l’archiviazione su proposta di giudici che avevano dimostrato indipendenza e capacità di giudizio come Enrico Cieri, Roberto Esposito e Bruno Giangiacomo. Anche per loro la presenza a Bologna del terrorista Thomas Kram lascerà un grumo di domande rimaste finora senza risposte adeguate.
Gli indagati erano, insomma, due pericolosi terroristi. Sono, almeno in un caso certamente, a Bologna il 2 agosto. Ma valeva la pena di dire, in una trasmissione come La grande storia, che si è cominciato a fare indagini su di loro solo 25 anni dopo?
Da parte di molti magistrati si è preferito attenersi alla verità di Stato subito fatta circolare: la strage era di origine fascista. Di qui l’appello rivolto agli antifascisti di ogni rango perché la sostenessero con ogni mezzo possibile.
L’Associazione dei familiari delle vittime, per bocca del suo presidente, è arrivata a oltrepassare il limite dell’impudenza e dell’intimidazione. In data 1° ottobre 1996 ha, in buona sostanza, preteso che il senatore Giovanni Pellegrino venisse revocato dall’incarico (o provvedesse a farlo egli stesso autonomamente), al quale era stato appena confermato dal parlamento, di presidente della Commissione parlamentare sulle stragi.
Nel comunicato, classicamente da pression group, l’accusa mossa era che “con questa decisione si sia rinunciato a colpire responsabili e mandanti politici del terrorismo e delle stragi, ossia quanti hanno utilizzato il terrorismo quale strumento di lotta politica. Pensiamo che questa nomina rappresenti un ulteriore passo, tra quanti manifestati e compiuti, di una volontà politica che tende a rimuovere un colpevole passato assolvendo di fatto i responsabili”.
Perché la correità del senatore Pellegrino con fascisti, piduisti, stragisti, eversori non fosse ambigua o dubbia, il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime aggiungeva un ulteriore passaggio accusatorio: “La bozza di relazione presentata alla Commissione stragi dal senatore Pellegrino nella precedente legislatura evidenzia l’intenzione di mettere una pietra sul passato, assolvendo dalle responsabilità che le competono quella parte di classe politica dirigente che ha dato dimostrazione di complicità e di inerzia”.
Siamo in presenza di un attacco in piena regola di rara violenza nella storia della repubblica. Esso era volto non solo alla delegittimazione del ruolo istituzionale del presidente Pellegrino, alla denuncia delle responsabilità del parlamento nell’eleggerlo, ma anche a colpire il senatore pidiessino per complicità con fascisti, stragisti, massoni piduisti, eversori e quant’altro, cioè al cosiddetto “partito del silenzio” .
Pellegrino non aveva assecondato teoremi e farse da fantapolitica elaborati e proposti con i toni e il carattere perentorio degli agenti e dei propagandisti sovietici durante la guerra fredda.
I mandanti della strage sarebbero notissimi. Il principale si chiamava Licio Gelli, e avrebbe agito anche con l’ultima incarnazione del suo potere demoniaco, la P2. Per 28 anni, durante la celebrazione della funesta ricorrenza del 2 agosto, questa storiella da bar di suburra è stata ripetuta. I rappresentanti (pavidissimi) del governo (sia di centro-destra sia di centro-sinistra) si sono lasciati assoggettare all’accusa di aver voluto impedire le indagini sui mandanti delle stragi applicando ad esse il regime del segreto di Stato. Mai fandonia più spudorata e ridicola è stata formulata.
Infatti il segreto di Stato sulla strage di Bologna, come su tutte le stragi, non è stato mai opposto dal governo per la semplice ragione che la normativa vigente lo esclude (art. 204 del codice di procedura penale). E’ quanto è a conoscenza di tutti, dal momento che è stato ribadito da Franco Frattini, allora ministro per la Funzione pubblica e il coordinamento dei servizi di informazione e sicurezza (cfr. Atti parlamentari, seduta n. 34, in data 20 settembre 2001 dedicata all’abrogazione del segreto di Stato nelle indagini sulle stragi ed i delitti di terrorismo): “posso senz’altro dire che nel procedimento penale relativo alla strage di Bologna, in nessuna fase dell’indagine, è stato opposto il segreto di Stato; infatti, esiste già una norma processuale che stabilisce che non possono essere oggetto del segreto fatti, notizie e documenti concernenti reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale. Quindi, in realtà, spetta al giudice, nelle sue attribuzioni, definire la natura eversiva del reato per cui si procede secondo quanto stabilito dal codice di procedura. In sostanza, l’opposizione del segreto di Stato in base alle norme vigenti — mi riferisco in particolare all’articolo 204 del codice di procedura penale — è già esclusa in tutti i processi in materia di stragi, delitti di terrorismo e di eversione dell’ordine costituzionale, e quindi anche in quello relativo alla strage di Bologna”.
Per creare confusione e disinformare l’opinione pubblica, alimentando una psicosi di allarme e di ribellione contro il governo e contro lo Stato, si è voluto consapevolmente confondere il segreto di Stato (che è di competenza del governo) con il segreto sugli atti, fatti e documenti di indagine. Essi, secondo l’articolo 329 e seguenti del codice penale, possono essere classificati come segreti.
La falsificazione su questo punto è stata portata avanti e ribadita ossessivamente facendo finta di non sapere che la decisione di secretare tali atti di indagine dipende da una decisione dei magistrati, e non dalla volontà del governo!
L’obiettivo è stato sempre lo stesso: convincere la popolazione che il governo era dalla parte di organizzatori di trame e complotti in combutta con i fascisti, la Cia, il Mossad e via dicendo, e quindi indurla a rovesciare anche con la forza o qualunque forma di pressione il governo in carica.
Ho detto: anche con la forza. Il richiamo all’antifascismo aveva questo poco recondito significato e impulso: servirsi di qualunque arma — come si fece negli anni 1943-1945 — per abbattere un regime bollato come antidemocratico, cioè fascista.
Bologna non ha mai avuto una magistratura in grado di sanzionare i concioni deliranti urlati il 2 agosto per quel che sono sempre stati: istigazione all’eversione e alla rivolta per abbattere dei governi legittimamente eletti.
Una propaganda reazionaria pura e semplice, insistita e ripetuta in maniera e misura farneticante, dunque, ha potuto avere libero corso turbando le coscienze ed esasperando gli animi. All’inizio del 1984 fu promossa una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare (consegnata all’on. Francesco Cossiga, allora presidente del Senato, il 25 luglio 1984). L’oggetto era l’abolizione del segreto di Stato nei delitti di strage e terrorismo, cioè una pantomima per una norma che in grande misura da molti decenni fa parte del codice penale!
Nella trasmissione nessuna traccia di questo gravissimo episodio. E’ fuori misura rubricarlo come un comportamento di vera e propria complicità?