Dopo tensioni, minacce di dimissioni e schermaglie all’interno del Governo, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo Schema di Decreto legislativo proposto dal Ministro Brunetta sulla Pubblica amministrazione. Esso dà attuazione alla Delega contenuta nella Legge. n. 15 del 4 marzo 2009 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni. Pertanto interessa anche l’universo scolastico. Ed è a questo Decreto che la UIL-Scuola, per bocca del suo segretario Di Menna, intervistato su questo stesso giornale da Rossano Salini, vorrebbe fosse agganciato, per stralcio, l’art. 17 del Ddl Aprea, dedicato all’articolazione della professione docente in livello iniziale, ordinario, esperto, senza nessuna sovraordinazione gerarchica dei livelli.
L’aggancio servirebbe per affermare irreversibilmente il principio dei tre livelli – che la UIL-Scuola convide – e per condizionarne tuttavia l’attuazione pratica nella contrattazione sindacale.
Intanto il Ministro Gelmini ha già provveduto ad avocare a sé l’art. 13 del suddetto Ddl, relativo ai percorsi di formazione iniziale dei docenti. Il Regolamento, una volta licenziato dalla Commissione Israel, attende ora di passare il vaglio del CUN, del CNP, del CNAM, prima di passare a quello della Commissione cultura della Camera e del Senato. Resterebbero pertanto nel Ddl solo due proposte: quella sulla nuova governance delle scuole e quella sul reclutamento. Nell’attesa di vedere gli esiti finali di questa politica del carciofo, giustificata dalla ristrettezza dei tempi, anche la UIL, tuttavia, oppone resistenza al reclutamento diretto degli insegnanti da parte delle scuole. Le ragioni sono due: una confessa, l’altra no.
La ragione confessa è la seguente: “inevitabilmente si arriverebbe ad avere scuole confessionali, scuole (soprattutto per le superiori) con certe tendenze di carattere politico-culturale. La qualità della scuola pubblica è nell’essere pluralista, e il reclutamento non legato alla singola scuola lo garantisce di più”. Ora, da quando nel giugno del 2001 l’autonomia delle scuole ha assunto rilevanza costituzionale, non si vede perché dovrebbe essere impraticabile dare “valore di stato” al concorso o alla chiamata diretta presso le scuole. Non sono esse enti pubblici? Ma la questione di fondo è il contenuto che si attribuisce all’autonomia. Se una scuola non può reclutare il personale in base alla corrispondenza al proprio progetto educativo, a che cosa si riduce l’autonomia? Giacché l’autonomia scolastica altro non è che l’espressione istituzionale dell’autonomia rispetto allo Stato della società civile, della comunità educante, che sta sul territorio, e che è composta di famiglie, di imprese, di culture, di enti locali. Il pluralismo non ha bisogno di essere sancito dallo Stato, è una caratteristica naturale della società civile, ormai composta di molteplici minoranze, nessuna delle quali è egemone. L’autonomia viene ridotta ad un guscio burocratico vuoto, se essa non può elaborare o implementare un progetto educativo coerente, che già originariamente è il prodotto del concerto attivo di forze sociali e culturali plurali che insistono sul territorio. E non può, se gli insegnanti capitano a caso nella scuola. “Il caso” non è pluralismo: è pura entropia, urto anarchico di progetti, perdita del ruolo educativo e culturale delle scuole. Quello del rischio confessionale è un alibi, soprattutto in una società dove le confessioni sono minoranza. Dietro sta, ahinoi, l’idea che solo lo Stato è “il progetto educativo” e che la libertà di progetto educativo e di insegnamento sono solo disordine e caos.
La ragione non confessata è che in questo sistema di reclutamento diretto da parte delle scuole il sindacato non avrebbe più voce in capitolo. Viceversa, in quello dei concorsi, ce l’ha, eccome! Ed è questo in realtà il punctum dolens. E’ sotto gli occhi di tutti che il sistema dei concorsi è fallito. Questo modo antiquato di reclutare non solo non consente di accertare realisticamente le competenze dei potenziali insegnanti, ma è anche permeabile ad ogni sorta di pressione e di corruzione. Argomento principe usato, viceversa e paradossalmente, contro l’ipotesi del reclutamento diretto da parte delle scuole.
Fortunatamente sta emergendo nella Commissione Cultura della Camera che il reclutamento per chiamata diretta si può fare, ad opera delle reti di scuole sul territorio. Giacché la ratio è esattamente questa: la risposta alla domanda educativa del territorio.