Molti di noi hanno ancora negli occhi le scene dell’ultimo film da poco uscito nelle sale cinematografiche della saga di Star Wars in cui, a distanza di 40 anni dalla sua prima apparizione, abbiamo ritrovato il leggendario Luke Skywalker mentre fa volteggiare la sua spada laser utilizzando una scintillante mano robotica.
La storia che qui raccontiamo si può senza dubbio considerare un importantissimo passo in avanti proprio nella direzione suggerita nel film L’Impero colpisce ancora quando gli sceneggiatori, per ridare allo sfortunato Skywalker le funzionalità motorie e sensoriali perse a causa dell’amputazione dell’arto superiore, lo forniscono di una mano robotica direttamente collegata con il sistema nervoso. Nel nostro caso la causa della perdita dell’arto non è stata una rosseggiante spada laser ma un comune incidente stradale avvenuto qualche anno fa ad una donna, Almerina Mascarello, che le ha provocato l’amputazione della mano sinistra.
Grazie ad un progetto di ricerca finanziato dalla Comunità Europea, un’equipe di ricercatori guidati dal professor Silvestro Micera della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e del Politecnico di Losanna, ha sviluppato una mano bionica che è stata sperimentata per sei mesi da Almerina. Ma qual è la caratteristica principale di questa mano robotica, oltre al fatto di poterla comandare utilizzando il segnale miografico registrato dai muscoli presenti nella parte di braccio rimanente? La particolarità sta nel fatto che è equipaggiata di numerosi sensori, sia nelle dita che nel palmo, che permettono di raccogliere informazioni tattili circa l’oggetto che sta afferrando. Almerina è stata in grado di “sentire” gli oggetti che venivano afferrati dalla mano robotica grazie all’abilità del neurologo Paolo Maria Rossini che al Policlinico Gemelli di Roma è stato in grado di creare una connessione tra l’arto artificiale e il sistema nervoso utilizzando particolari elettrodi biocompatibili.
Tali elettrodi sviluppati da ricercatori tedeschi sono fili sottili come capelli ciascuno con diversi contatti che vengono inseriti all’interno dei nervi periferici ancora presenti nella parte di braccio restante dopo l’amputazione. Come fa Almerina a sentire gli oggetti afferrati con la mano bionica? L’informazione sensoriale raccolta dai sensori di cui la mano è dotata viene trasformata da un computer in impulsi elettrici con cui vengono stimolati in modo opportuno i nervi periferici attraverso gli elettrodi impiantati. Tale informazione raggiunge quindi la corteccia sensoriale del cervello e Almerina riesce a percepire la forma e la consistenza dell’oggetto che sta afferrando con la sua mano bionica.
L’altra particolarità di questa mano riguarda il suo peso (1,5 kg) che è decisamente inferiore ai 15 chili delle prime versioni sviluppate qualche anno fa. Questo ha permesso ad Almerina di uscire dal laboratorio e di utilizzare la mano in ambienti di vita quotidiana indossando un particolare zaino contenente tutta la parte elettronica e di elaborazione necessaria al funzionamento dell’arto robotico.
Almerina ha utilizzato questa mano bionica per sei mesi e, come tutte le persone che hanno utilizzato dispositivi simili prima di lei, ha fornito importantissime informazioni a tutta la comunità scientifica che verranno utilizzate per lo sviluppo della prossima generazione di arti artificiali. I passi successivi saranno quelli di trovare una modalità per poter impiantare tali elettrodi in modo cronico e di miniaturizzare tutta l’elettronica necessaria al funzionamento di questo dispositivo.
Cosa ci insegna però questa storia? Conoscendo personalmente le persone coinvolte in questo progetto, posso dire che il successo di ricerche di questo tipo non è dato dal fatto di avere a disposizione dei finanziamenti, come spesso si tende a pensare. Certamente il fatto di ricevere dei finanziamenti è una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere risultati in ricerche di questo tipo. In questo caso il valore aggiunto è stata la capacità di mettere a punto e coordinare i bisogni, le aspirazioni e l’azione di gruppi di ricercatori molto diversi tra loro, provenienti da realtà completamente diverse (Pisa, Friburgo, Barcellona, Cagliari, Roma e Gottinga) e con diverse capacità e conoscenze, indirizzandone lo sforzo verso un unico obiettivo e sapendo individuare le criticità e le possibilità nascoste in ogni passo di questo lungo cammino. Se un giorno arriveremo a sviluppare la mano di Luke Skywalker sarà grazie all’impegno, alla competenza e alla passione di ricercatori di questo tipo.