C’era una volta una persona paziente. Lavorava con i ragazzi, soprattutto quelli cui Dio aveva dato motivo di essere più amati. Lavorava con i ragazzi che chiamiamo disabili, o diversamente abili. La chiamavano insegnante di sostegno.
Si sedeva affianco al ragazzo e per lui preparava attività quotidiane, aiutandolo a lavorare, a sentirsi parte della classe come tutti, a non sentirsi un estraneo anche quando avesse imparato le moltiplicazioni in quinta liceo. Per parlare alle diverse abilità questa persona era stata formata. L’insegnante di sostegno aveva prima di tutto conseguito una laurea all’università, chi quattro anni, chi cinque. D’altronde, ormai, neanche i maestri elementari possono essere più solo diplomati. Dopo questa avventura intellettualmente coinvolgente si era impegnato in un corso di specializzazione biennale con frequenza fisica obbligatoria di una decina di corsi diversi tra psicologia, pedagogia, sociologia, linguistica, didattica generale e specifica delle varie discipline. Anche chi aveva già esperienza di insegnamento era stato costretto a tornare in aula come spettatore e a guardare come un altro insegnante esperto gestiva la classe e la lezione.
Siccome però parliamo di ragazzi diversamente abili, al corso di specializzazione per gli insegnanti normali era seguito anche un corso di specializzazione per insegnanti di sostegno, anche questo con frequenza, fisica e non virtuale davanti al monitor, di 400 ore su didattica speciale, pedagogia speciale, normativa e altro, compreso un altro ciclo di tirocinio in aula. Quindi soltanto dopo almeno 4+2+1=7 anni dopo il diploma si poteva chiamare insegnante di sostegno.
In effetti però bisogna pensare che si sia scherzato. O forse nessuno prima ci aveva pensato, non era necessaria tutta quella formazione, ma sarebbe bastato un corso agile, veloce veloce dopo il diploma, di sole 400 ore da fare in buona misura davanti al pc, maturando come si può immaginare una forte esperienza formativa teorica e, soprattutto, pratica.
Le cosiddette riforme hanno fatto in questi ultimi 2-3 anni circa 11mila sovrannumerari, docenti a tempo indeterminato laureati ma in maggioranza solo diplomati, che si sono ritrovati senza posto a causa del pesante taglio di orari e soprattutto di laboratori dove i diplomati svolgono il ruolo prezioso di Insegnante Tecnico Pratico.
L’Amministrazione scolastica non ha pensato di ripristinare le ore di laboratorio almeno in parte, sino al pensionamento degli interessati, oppure di dare un insegnante pratico anche ai licei perché si possa fare seriamente laboratorio di fisica, chimica, informatica e quant’altro. La cosiddetta soluzione inventata è stata di prendere questi docenti, a prescindere dal titolo di studio, e fargli seguire un corso di sole 400 ore con almeno il 50% di attività on line e il resto in presenza, convertibile anche quello in attività on line, nominalmente e vagamente paragonabile al solo ultimo anno della formazione dei veri insegnanti di sostegno. Allora delle due una: si è presa in giro una generazione di giovani insegnanti, costringendoli ad affollare le università in interminabili e costosi corsi universitari e post universitari di specializzazione, oppure è la formazione di fortuna dei docenti soprannumerari che è molto improvvisata e approssimativa.
Credo che tutti possano immaginare che non sia possibile condensare in qualche mese di attività in parte in presenza e in parte davanti al pc tutte le esperienze e le informazioni che si possono maturare in 3 anni di formazione specifica, tirocinio vero, oltre alla laurea. E poi la laurea vale ancora qualcosa? Un laureato in economia e commercio, giurisprudenza, ingegneria, vale veramente quanto un diplomato odontotecnico? Voi, genitori, a chi affidereste un vostro figlio in situazione di handicap? E poi perché non si dividono questi nuovi specializzandi in tutti gli ambiti disciplinari, ma li si concentra tutti nell’ambito professionale? I precari di quest’ambito perderebbero ogni lontana speranza di lavorare.
Esistono tanti docenti di economia, diritto, costruzioni, topografia, elettrotecnica che dispongono di lauree ed esperienze lavorative molto facilmente spendibili in altre branche dell’Amministrazione pubblica. Perché non deve essergli permesso di spostarsi alla Asl, al Comune, alla Provincia, all’Inps solo per fare qualche esempio. Anche tanti diplomati potrebbero lavorare in altre amministrazioni come geometri, analisti di laboratorio, periti agrari, se non hanno più posto a scuola. Oppure spostarsi nella formazione professionale regionale mantenendo il contratto equivalente al passato. Eppure, chi ci ha provato sa che non diciamo bugie, è quasi impossibile avere il nullaosta degli Uffici scolastici regionali per spostarsi in altre amministrazioni che, per procedura di mobilità intercompartimentale, cercassero impiegati e funzionari.
Preso atto del valore professionale non lusinghiero che l’Amministrazione sembra assegnare al docente di sostegno, la decisione ha comunque una conseguenza molto pesante. I posti che sarebbero assegnati ai soprannumerari riconvertiti, anche prima del conseguimento della specializzazione di riconversione, non sono per niente vacanti. Sono occupati da docenti precari che, loro sì, hanno fatto tutto il percorso di 7-8 anni prima di potersi iscrivere in una graduatoria degli insegnanti di sostegno e sottoscrivere un contratto di lavoro, solo a tempo determinato nella gran maggioranza dei casi.
Ecco cosa sono i precari. Tappabuchi, svolgono il loro lavoro con passione e illusione, sinché non arriva qualcuno a portargli via il posto e la speranza. Costretti a formarsi in faticosi, lunghi e costosi percorsi universitari che poi vengono bypassati con nonchalance, come fossero inutili.
Il precariato pernicioso che affligge la scuola italiana e i suoi insegnanti dovrebbe essere una piccolissima, residuale, percentuale e invece è massiccio con migliaia di lavoratori mortificati. Questi lavoratori non hanno diritti, non ottengono neanche il credito per comprare un frigorifero a rate. Meglio non pensare al livello delle loro future pensioni, tra disoccupazione estiva e anni senza incarico.
Non si può rubare la speranza ad un precario per tenere in servizio a scuola, senza valutare altre soluzioni comunque garantiste, un docente di ruolo soprannumerario. A distanza di oltre 60 anni dall’entrata in vigore della Costituzione sarebbe ora che tutti i lavoratori avessero gli stessi diritti, possibilmente i più alti, ma comunque uguali per tutti. O tutti in piedi, o tutti seduti.