La mostra sulla Georgia per il Meeting di quest’anno si concentra sulla lunga storia di questo piccolo grande Paese e la sua stretta connessione con il suo drammatico paesaggio montuoso da un lato, e i suoi potenti vicini, dall’altro. La situazione geopolitica come cerniera tra l’Europa e l’Asia ha sempre posto la Georgia davanti a una scelta tra i grandi imperi d’Oriente e d’Occidente, delle civiltà orientali e occidentali. In effetti, la Georgia è anche una cerniera fra due Europe parallele, quella orientale che si identifica soprattutto con la Russia, e quella più propriamente occidentale, che è dove noi italiani entriamo in gioco. In ogni modo la Georgia, confrontandosi con queste culture orientali e occidentali, ha sempre mantenuto una propria cultura, che proprio dal confronto emerse sempre più profondamente distinta e unitaria.
La mostra sottolinea dapprima l’importanza delle risorse naturali della Georgia e l’impatto che ebbero sulla formazione di una coscienza nazionale. In primo luogo, il paesaggio che in un territorio leggermente più piccolo a Piemonte, Lombardia e Veneto insieme, sembra quasi replicarne la varietà: dalle coste del Mar Nero risale fino alle vette altissime del Caucaso, con grandi pianure ricche di acqua, in particolare con il fiume Kura e i suoi numerosi affluenti. Vi sono poi le miniere d’oro che sono state sfruttate fin dal 3500 a.C.. La produzione d’oro era così importante che diede origine al mito del vello d’oro: era la Georgia la meta di Giasone e degli Argonauti ed è da lì che tornò in Grecia con lui Medea. Uno dei siti più importanti è l’antico centro di Vani, e la mostra contiene 12 copie di oggetti d’oro scavata in questo sito.
Questa storia millenaria è alla base del profondo senso che i georgiani hanno della continuità e identità della loro cultura, identità che venne potenziata al massimo nel 337 dalla dichiarazione del re Mirian III del cristianesimo come religione ufficiale. Questa dichiarazione arricchì enormemente il panorama culturale georgiano anche perché portò all’invenzione di un nuovo alfabeto. La nuova elegantissima scrittura era in funzione di assicurare l’affermarsi della specificità georgiana nell’approccio ai testi biblici e dei Padri della Chiesa, e portò anche alla creazione di una gran serie di monasteri non solo all’interno della Georgia ma anche all’estero, dove i manoscritti potevano essere tradotti e ampi commenti prodotti in georgiano.
La mostra si concentra su uno di questi monasteri, Ghelati, costruito dal re Davide IV, chiamato Davide il Costruttore (1089-1124). Il monastero e la sua Accademia dovevano servire come una “seconda Gerusalemme”, e “l’altra Atene”. Davide volle essere sepolto sulla soglia del portico di accesso al monastero, punto di arrivo della strada che sale dalla vicina capitale, Kutaisi, e allo stesso tempo punto di partenza per scendere in città.
È una semplicissima pietra tombale che dice solo: «Questa è la mia dimora per sempre, come desideravo. Così ho trovato qui la pace eterna». Un esempio di umiltà, ma anche un messaggio dai diversi significati: innanzitutto la presa di distanza dai fasti regali degli imperatori bizantini. C’è poi la dichiarazione di essere un figlio della terra di Georgia per la quale aveva combattuto, una terra che aveva riunificato e che voleva rimanesse tale. Quell’essere sulla strada tra il cuore della religiosità e il centro del potere politico è infine un monito al popolo a conservare il dono dell’unità.
Un altro punto focale della mostra è la chiesa di Ateni, costruita nel VII secolo. L’interno della chiesa presenta i migliori esempi di pittura murale medievale georgiana, risalenti al X e XI secolo. La chiesa, consacrata alla Dormizione della Vergine, presenta un’ampia narrazione della vita di Maria, con uno straordinario realismo nel rendere la figura umana, che sembra anticipare da vicino quello che Giotto compirà in Italia. Il nostro logo per la mostra, l’angelo dell’Annunciazione è un ottimo esempio.
Uno scopo della mostra è trasmettere forti impressioni, che rispecchiano la mia risposta personale alla cultura georgiana. Fin dagli inizi della mia ricerca archeologica mi sono occupata della Gerogia nei suoi rapporti con la Siro-Mesopotamia, e sono rimasta sempre molto colpita dalla forte coesione sociale di questo popolo, che a me pare affondi le radici in un passato davvero millenario, e che abbia poi trovato il suo culmine naturale con il cristianesimo. Con questa mostra, ho voluto condividere tutto questo in un momento in cui la Georgia sta attirando sempre più attenzione.
La mostra, credo proprio, proietta un senso dello straordinario. Il senso di una bellezza intrisa di sostanza.