La Francia sta vedendo riaccendersi, nelle ultime settimane, il dibattito sulla laicità. Alcuni fatti ne hanno contribuito a ciò: la proposta di legge promossa da Sarkozy riguardo il divieto del burqa in tutti i luoghi pubblici, gli attacchi israeliani di qualche giorno fa o il mitragliamento di una moschea a Istres, nel sud della Francia, sono solo tre esempi delle continue frizioni in materia di convivenza che tormentano in continuazione la nazione culla della laïcité.
Tutti questi avvenimenti mettono di nuovo sulle prime pagine dei giornali il dibattito intorno ad un modello di convivenza che sembra non riuscire a rispondere alle sfide di un mondo, e senz’altro un’Europa, sempre più obbligata a ripensarsi in termini di rapporto reale e non più di tolleranza astratta.
Di recente è apparso su Le Monde un articolo del Grande Rabbino della Francia, Gilles Bernheim. In esso la voce pubblica dell’ebraismo francese si esprimeva molto chiaramente: «le religioni – scriveva – possono contribuire a creare una Francia più pacifica». Parole che non possono essere date per scontate nel paese che, insieme alla “moderna” Turchia, ha compiuto più fedelmente il progetto di trasformazione dello spazio pubblico-concreto in uno spazio vuoto-astratto. «Ognuna delle grandi religioni e filosofie presenti nel nostro paese – continuava – possiede dei tesori di ragione, giustizia e pace che deve mobilitare per aiutare la République», perché «aldilà delle divergenze dogmatiche, tutti gli uomini di buona fede possono intendersi».
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Ma come riprendere quella via d’intendimento apparentemente chiusa? Bernheim, partendo da una tradizione religiosa ancorata sull’esperienza della concretezza del rapporto umano e dell’importanza dei luoghi, insiste sulla necessità di uscire dai termini astratti del dibattito. Bisogna riprendere la «discussione faccia a faccia, gli occhi sugli occhi, fuggendo dal piacere facile dei monologhi» e sapere che «la storia non è una fantasia, ma si costruisce, adesso e sempre, ancorata in dei luoghi precisi». È necessario «servirsi del patrimonio della nostra esperienza (…) per trovare fra di noi gli sguardi, i gesti e le parole che ci permetteranno di creare, là dove siamo, la pace, la disciplina, la solidarietà e la dignità».
In questo senso dovrebbe essere molto più spesso ripreso, e soprattutto applicato concretamente, il discorso pronunciato dal presidente Sarkozy a San Giovanni in Laterano nel dicembre del 2007. Davanti a Benedetto XVI disse in quell’occasione: «mi auguro profondamente l’avvento di una laicità positiva, cioè una laicità che, pur vegliando sulla libertà di pensare, su quella di credere o non credere, non considera che le religioni siano un pericolo, ma piuttosto un punto a favore. Si tratta (…) di cercare il dialogo con le grandi religioni di Francia e di avere come principio quello di agevolare la vita quotidiana delle grandi correnti spirituali piuttosto che di cercare di complicarla a loro».
In quell’occasione la Francia laicista diede una lezione teorica di vera laicità a tutta l’Europa. Avrà il coraggio, come rivendica Bernheim, di permettere le sue conseguenze pratiche e le sue traduzioni concrete? E soprattutto, ci sarà qualcuno in Francia che avrà l’audacia di intraprenderle?