Il recente articolo di Giorgio Vittadini sull’alternanza scuola-lavoro costituisce un prezioso contributo alla tormentata riflessione sul tema. La natura delle reazioni suscitate dalla obbligatorietà dell’alternanza nei licei, generalmente connotate dalla percezione di una evidente discrasia tra l’introduzione di tale pratica e il carattere degli studi liceali, è nota e continua a generare un dibattito molto vivace.
Forse anche al di là delle reali intenzioni e previsioni del legislatore, che avrebbe potuto e dovuto creare una maggiore concertazione con chi nelle scuola vive davvero, è innegabile che la questione presenta una gamma di possibili sfaccettature e implicazioni educative di indubbio interesse.
In particolare, per quanto riguarda il liceo, il focus della riflessione è l’individuazione di un punto sintetico di raccordo tra l’esperienza lavorativa e il senso dello studio. Data la peculiarità dei percorsi liceali, che non sono immediatamente volti a una preparazione di tipo professionalizzante, la proposta di alternanza va a intercettare la domanda sul valore da attribuire all’esperienza lavorativa. Dal punto di vista antropologico e culturale, infatti, il lavoro costituisce all’interno degli studi liceali un tema trasversale di grande respiro (storia, letteratura, economia…) e implica il riferimento a un sistema valoriale diversamente vissuto e interpretato nel corso della storia. Per quanto riguarda gli studenti, a questo tipo di considerazioni vanno poi aggiunte quelle più personali suggerite dalla proiezione di desideri e aspettative sul proprio futuro lavorativo, in relazione a interessi e passioni e alla rapida evoluzione del mondo del lavoro.
Parlare di alternanza scuola-lavoro in un liceo non può dunque prescindere, senza tuttavia eccedere in enfasi retoriche e intellettualistiche, dal quadro di riferimento sinteticamente tracciato che, appunto per la sua ampiezza, può prevedere sviluppi in varie direzioni.
La prima che abbiamo seguito all’interno del liceo di cui sono preside è quella di consentire ai ragazzi di verificare attraverso stage aziendali — attribuendo questo termine a contesti lavorativi molto diversi, compresi quelli afferenti al terzo settore — un interesse verso alcuni ambiti di riferimento per l’orientamento universitario. Sempre in questa prospettiva, come peraltro previsto dalla legge, vengono inoltre progettate attività collaterali, quali incontri con il mondo delle professioni (e non solo quelle canoniche) e dell’università, anche con la partecipazione ad attività laboratoriali, visite ad aziende e, infine, incontri su temi generali di carattere giuridico ed economico.
Un ulteriore sviluppo dell’alternanza riguarda la valorizzazione del percorso di studi e la ricerca di occasioni in cui ciò che si impara a scuola, sia in termini di contenuti specifici che di metodo, possa essere messo a disposizione di altri: condividere e produrre cultura è un bene per la comunità di appartenenza, per la città in cui si vive. Questa intuizione, che si sta sviluppando e costruendo attraverso il dialogo con alcune istituzioni culturali della nostra città — musei, gallerie d’arte, centri culturali, teatri, associazioni …—, risulta essere di sostanziale importanza per il valore dell’alternanza: ciò che si fa a scuola è un lavoro e la possibilità di tradurlo in qualcosa di fruibile attribuisce all’attività intellettuale, che costituisce poi il proprium del percorso liceale, una dimensione di servizio e di dono forse inedite, almeno nella percezione degli studenti.
L’intensa attività di ricerca sugli essenziali delle discipline, l’emergere di sempre nuovi spazi di interdisciplinarietà e la sperimentazione didattica trovano così nella sfida posta dall’alternanza un punto di maggiore consapevolezza. Un esempio significativo del raccordo tra la dimensione curricolare e l’Asl è l’organizzazione di stage all’estero che prevedono l’inserimento in contesti lavorativi, anche molto semplici, come quelli relativi alla ristorazione o a servizi turistici. Un’esperienza del genere offre ai ragazzi, accanto alla possibilità di verificare e di approfondire sul campo la propria competenza linguistica, l’opportunità di muoversi in una trama di relazioni non consueta.
Le innegabili difficoltà emerse in fase di attuazione della legge stanno dunque inaspettatamente aprendo spazi di creatività e di innovazione assolutamente impensabili che vanno a interrogare il senso profondo della scuola, il modo con cui concepiamo i percorsi culturali e ricerchiamo le strutture organizzative più adeguate.
Le recenti mozioni formulate da alcuni collegi docenti in vista dei prossimi Stati Generali dell’alternanza del 16 dicembre avanzano la richiesta di affidare al collegio da una parte la possibilità di avvalersi o meno di questa opportunità in relazione agli obiettivi esplicitati nel Ptof, dall’altra quella di poter determinare il numero di ore. Iniziative di questo genere segnalano la necessità, avvertita da molti docenti e dirigenti, di poter garantire esperienze di alternanza davvero significative, in grado cioè di consentire un reale momento di crescita umana e culturale.
Anche le recenti manifestazioni studentesche sull’alternanza, al netto delle reali o presunte strumentalizzazioni ideologiche, possono essere lette come espressione di una esigenza di senso che non può che essere condivisa.