“Se tutto quello che studiate in classe non vi aiuta a vivere meglio, lasciate perdere”; concludeva così la sua lezione sui classici il giovane professore di Alessandro D’Avenia in Cose che nessuno sa. Se la scuola non serve a introdurre al significato della realtà, se non è capace di ridestare desiderio e domande prima ancora di dare risposte, e dunque se non educa, viene meno al suo compito. Oggi, più che mai, i ragazzi questo lo sanno, o meglio lo vivono sui loro banchi, ed è per questo che il più delle volte pensano alla scuola come a un peso, una fatica di cui non capiscono tanto il senso, una noia se non addirittura una tortura.
Ma non è sempre e solo così: ci sono, anche nella scuola di oggi, momenti in cui qualcosa accade, in cui la bellezza rapisce l’anima e allora la mente si ridesta, lo sguardo si fa attento, le orecchie sono tese a non lasciarsi sfuggire nulla, il cuore si emoziona. Accade sempre per un incontro e spesso in classe questo succede quando si incontra un autore, magari del passato ma reso vivo dall’insegnante che ne sta leggendo le pagine più belle: è il “miracolo” di una storia in cui è facile riconoscerti, così vera che ti corrisponde, in cui sembra proprio di poterti specchiare, ma tu non avresti saputo raccontarla bene come sa farlo chi l’ha scritta e spesso l’ha anche vissuta. Quando accade inizia un’avventura, per i ragazzi come per l’insegnante: anzi, tra loro, insieme.
Con Dante in classe questo “miracolo” succede spesso: anche se quest’anno compie 750 anni, il sommo Poeta rimane vivo e attraverso il suo capolavoro parla a chiunque si accosti ai suoi versi pieno di domande e disposto lealmente a “seguir virtute e canoscenza“.
Proprio in occasione del 750° anniversario della nascita del padre della nostra letteratura è uscito un nuovo testo rivolto in particolare ai ragazzi delle scuole medie ma non solo. Il libro, La Divina Commedia pocket (ed. Sestante), è un romanzo d’avventura. A Dante è accaduto un avvenimento: ha incontrato una donna avvenente, di una bellezza dell’altro mondo. Ma un giorno l’ha perduta. E si è perduto: smarrito in un buio pauroso. Ebbene, proprio lì, nella “selva oscura” qualcuno è venuto a cercarlo per andare insieme a ritrovare lei, Beatrice: la bellezza vera che rende la vita piena di contentezza. Comincia in questo modo per Dante l’avventuroso viaggio: la Divina Commedia.
Le autrici del libro, Vilma Cerutti e Isora Paoletto, sono state così affascinate da questa poesia altissima che ne hanno fatto un avvincente romanzo storico, fedele alla vicenda cantata da Dante, scritto in una prosa semplice e raffinata, di cui potranno godere tanto i preadolescenti quanto i loro nonni.
Mi par di vederli insieme — in vacanza al mare o in montagna, mentre i genitori ancora lavorano in città — a leggere ad alta voce questo libro. I nipoti vorrebbero andare avanti, vedere come procede la storia, ma lui — il nonno — è perentorio: quei quindici versi deve proprio recitarli! e apre il volume ingiallito su cui sudò al liceo; e declama, fa “sentire” tutte le “r” con cui ci assorda Cerbero, si commuove con Ulisse o col conte Ugolino. E i ragazzini si emozionano con lui… sono avvinti, vinti: legati. Liberamente legati.
Occorre sempre partire dalla sintesi per arrivare poi all’analisi: questo libro offre il tessuto connettivo del poema, ovvero ci regala quello sguardo panoramico che permette di planare giù e collocare al posto giusto quei quindici versi, o i singoli canti che verranno letti a scuola.
Vilma e Isora sono mie amiche. Dante è per loro un amico da far conoscere al “fraterno cuore” di lettori-amici. Loro due insieme (perché, come Dante con Virgilio, anche Vilma e Isora si sono sorprese a viaggiare insieme) sono state segnate dentro in modo così entusiasmante dal sommo Poeta da essere davvero in-segnanti: incidono, lasciano un segno indelebile. Vale per loro due ciò che Dante sperimenta in Paradiso nell’incontro col trisavolo Cacciaguida: “Solo voi beati riuscite a trasformare in discorso l’affetto, la gioia, la carità che provate”. Questo libro nasce da un gioioso affetto, cioè dal desiderio di condividere un dono ricevuto. Un dono che obbedisce alla paradossale matematica della carità: ridonandolo, anziché diminuire, aumenta!
Un insegnante innamorato del proprio lavoro fa suo il compito assegnato da Cacciaguida a Dante: “Rimossa ogne menzogna, / tutta tua visïon fa manifesta”. Compito urgente: dire la verità, manifestare tutto ciò che si è visto, udito e… fiutato. Sì, perché nella Divina Commedia è in azione un uomo in carne e ossa, che sbalordisce le anime per il fatto di proiettare a terra la propria ombra; e che percepisce la realtà coi cinque sensi, come suggeriscono in modo efficacissimo anche le illustrazioni di Massimo Giacon che impreziosiscono il volume. In particolare l’Inferno è il regno dell’olfatto, e il grande naso di Dante sembra fatto apposta per ingigantirne l’insopportabile puzza: il male è davvero ripugnante. Nel Purgatorio è acuito l’udito: qui s’incontra un dolore che canta, nella prospettiva della speranza certa. A partire dall’incontro con Beatrice e attraverso i cieli del Paradiso, tutto consiste negli occhi di lei, nella vista, nello splendore della luce e dei colori. Ma accanto a questi tre sensi più spirituali è in azione anche il quarto, più carnale: il tatto. Virgilio prende per mano Dante e lo accompagna, poi se lo stringe al petto; Casella abbraccia l’amico Dante; Stazio si getta ai piedi di Virgilio e tenta di abbracciarlo. Giusto all’inizio del Paradiso Beatrice dice a Dante poche parole, ma pronunciate con carità, come se lo volesse abbracciare per fargli sentire tutto il suo amore.
Giunto ormai alla fine del grande viaggio, Dante vede la Madonna, vorrebbe toccarla e si riconosce toccato: “Ad un tratto — scrivono le Nostre — sentii un fremito nella spina dorsale e capii che Maria era la madre, mia madre; avrei voluto toccarla, o almeno sfiorarla, con la mano, ma era troppo lontana, e poi, così luminosa, non avrei potuto. Capii invece che era Lei che mi aveva toccato il cuore”.
Compare infine — e siamo agli antipodi dell’assordante disgusto a cui sono condannati i golosi — la santità del gusto, l’ultimo dei cinque sensi: “…piena di stupore e lieta / l’anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé, di sé asseta”. Certo, si tratta di un gusto tutto speciale: la contemplazione di Cristo, Dio e uomo, che si specchia negli occhi di Beatrice. Contemplare questa verità soprannaturale è fare esperienza del sapere, ovvero del conoscere assaporando, gustando; ed è immersione in una verità che da un lato sazia di sé — soddisfa —, dall’altro suscita ancor più vivo desiderio di essere gustata.
Desiderio: questa pare a me la parola-chiave della Divina Commedia. Dante ci educa anche a giocare a caccia al tesoro con le parole, indagandone l’etimologia (se ne vedano alcune, nelle righe che precedono, appena suggerite ed evidenziate con il corsivo). L’uomo de-sidera: si è allontanato dalle stelle (in latino sidera). Egli sente la struggente mancanza del cielo da cui proviene e per il quale il suo cuore è fatto. Dante si slancia verso l’alto e prova da solo a scalare il colle illuminato dal sole, ma è ricacciato dalle tre fiere giù nella selva oscura. DaVirgilio apprende che per realizzare il proprio intimo desiderio di salire verso la meta occorre prima scendere nell’abisso del male. l’Inferno è “l’aere sanza stelle”: un dis-astro…
Anche nell’Inferno accadono incontri capaci di evocare potentemente la “statura” dell’uomo. Fra questi giganteggia Ulisse, che così sprona i propri compagni d’avventura: “Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”. Con-siderate: guardate le stelle tutte insieme per orientarvi, per trovare il senso e la direzione della vita. la statura dell’uomo è in questa sua indomita tensione ad andare oltre, più in là, verso il mistero ultimo. Ma — come chiosano le autrici di questo libro — Dante capisce “dove Ulisse aveva sbagliato e perché aveva fallito: l’uomo da solo non può arrivare a conoscere tutto e avere la presunzione di salvarsi da sé”. Dante invece non fallisce perché il suo viaggio è voluto da Dio e sempre accompagnato e guidato: da Virgilio, poi da Beatrice, infine da san Bernardo. Il nostro homo viator esce dall’Inferno e “torna a riveder le stelle“; raggiunta la vetta del Purgatorio è “puro e disposto a salire a le stelle“; infine, nel Paradiso gli viene donato quell’attimo folgorante di totale soddisfazione del desiderio con la visione completa di Dio, “l’Amor che move il sole e l’altre stelle“.
Perfetta la conclusione delle autrici: “A tutti è data la possibilità di arrivare alle stelle, di essere lieti, in pace con se stessi e gli altri, perché tutti hanno il dono della libertà. Tutti possono scegliere il bene o il male, ma è più facile per l’uomo scegliere il bene se ha la certezza di essere amato e se segue qualcuno che gli indica la strada giusta, facendogli alzare sempre lo sguardo al cielo”.
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“La Divina Commedia Pocket” fa parte della collana “i libri fondativi”. Quando un libro nasce con l’intento di far interrogare il lettore sulla natura dell’essere umano e il senso della vita, proponendo, a partire dall’esperienza raccontata, ipotesi di significato, allora può a buon diritto rientrare nella definizione di “libro fondativo”. Per questo è interessante raccogliere la sfida di Paolo Molinari, che dei libri fondativi per primo ha avuto l’intuizione: proporre racconti che trasmettano qualcosa di essenziale dentro un rapporto, altrettanto essenziale, tra adulto e bambino/ragazzo. La collana comprende anche “Il Libro Fondativo per incontrare l’umano. Eesperienze di lettura a voce alta in classe” e “Magellano”, riduzione per ragazzi del romanzo di S. Zweig (autori: Molinari, Farina, De Nigris).