Organismo geneticamente modificato tramite tecniche di ingegneria genetica che permettono l’aggiunta, l’eliminazione o la modifica di elementi genici. Lasciando da parte le implicazioni sugli esseri umani di modifica del dna, la pratica di applicare modifiche a prodotti alimentari, ad esempio la differenza fra mais bianco e giallo, è al centro di dibattiti e polemiche anche durissime da anni. Per molti, si tratta di prodotti che danneggiano la salute umana e quella degli animali che vengono nutriti con tali prodotti, creando una catena mortale. Arrivano adesso i risultati del più completo studio sull’argomento di sempre, dati relativi a 21 anni di coltivazioni, pubblicato dalla rivista Scientific Reports e coordinato dall’Italia, con l’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa. E’ il primo studio che contempla ricerche condotte sin dal 1996, l’anno di inizio della coltivazione del mais transgenico e il 2016, in tutti i continenti del mondo.
I risultati contraddicono completamente chi parla di dannosità dei prodotti Ogm: i dati appena pubblicati permettono di “trarre conclusioni univoche, aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate”. Secondo Laura Ercoli, come ha detto all’Ansa, docente di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, “Non c’è nessuna evidenza di rischio per la salute umana, animale o ambientale dal mais transgenico, ossia geneticamente modificato con geni altre specie”. Grazie all’analisi di 11.699 dati le colture di mais transgenico ” hanno una resa superiore dal 5,6% al 24,5%, aiutano a ridurre gli insetti dannosi ai raccolti e hanno percentuali inferiori di contaminanti pericolosi negli alimenti, come micotossine (-28,8%) e fumonisine (-30,6%)”. Facile immaginare adesso che ci sarà chi accuserà gli autori dello studio di essere stati sponsorizzati dai produttori di mais transgenico.