Un giovane, imprigionato dalla polizia dopo una manifestazione di piazza, giace dimenticato nella cella del carcere. Finalmente alcuni amici riescono a fargli avere carta e materiale per scrivere: così può iniziare a battere a macchina un libro, il suo libro. Finalmente riesce a raccontare la sua vita e, soprattutto, ciò in cui crede e i progetti che ha elaborato. Esce dal carcere e un piccolo editore pubblica poche centinaia di copie del volume. Di lì a qualche anno diverrà un successo da milioni di copie e lui diverrà ricchissimo.
Sembra l’avventura di un “giovane scrittore” dei giorni nostri, ma è una storia che ha quasi un secolo. Quel libro è Mein Kampf (La mia battaglia) e quell’uomo è Adolf Hitler. Mancava in Italiano una storia puntuale ma leggibile della storia redazionale e editoriale della “bibbia” del Nazismo: si tratta di Antoine Vitkine, Mein Kampf. Storia di un libro, Milano, Cairo Editore, 2010. Il saggio documenta come, proprio grazie al “parto letterario” del Führer, già dagli anni ’20 fosse possibile conoscere e capire quali fossero le sue vere intenzioni, un libro che invece fu spesso considerato con sufficienza.
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Eppure, se in Germania Mein Kampf divenne regalo “obbligatorio” per matrimoni e ricorrenze pubbliche, spesso invece le traduzioni realizzate all’estero furono finanziate proprio dalle leghe ebraiche per far conoscere i progetti razzisti e criminali del Nazismo. Eppure si tratta anche di un libro poco letto per lo stile scadente e la lunghezza, cosicché ne sono stati ricavati numerosi estratti e antologie.
Dopo aver indagato la genesi dell’opera, il volume di Vitkine ricostruisce un capitolo importante della storia dell’editoria del Novecento, coi tedeschi prima della guerra ossessionati dal pericolo di far conoscere troppo bene all’estero il pensiero del leader e dopo ossessionati di proibirne le riproduzione (ancor oggi si tratta in Germania di un libro proibito). E in Italia? Il libro fu pubblicato, di fatto col sostegno diretto di Mussolini, da Valentino Bompiani. Gli editori, infatti, continuano a giocare ambiguamente tra la necessità di documentazione e la connivenza con le idee (soprattutto antisemitismo e ossessione di potenza) di Hitler: nell’India o nella Turchia contemporanee si tratta di un libro ampiamente conosciuto e diffuso.
Ma allora non tutti i libri sono buoni? Quando difendiamo i libri e la lettura, almeno ogni tanto, dovremmo porci anche la questione dei contenuti di quei libri…