Se è vero che la storia non si fa con i “se”, è però anche vero che questo “divieto” non significa che siamo autorizzati a vedere nei fatti del passato un qualcosa che doveva necessariamente accadere nel modo in cui accadde.
Tra le discussioni e i dibattiti che hanno avuto luogo attorno alla ricorrenza dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, mi è capitato di prendere in mano l’ultimo libro di Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro (Risorgimento e identità italiana: una questione ancora aperta, Cantagalli, Siena 2011), già docente nell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e acuto interprete della dottrina sociale della Chiesa, argomento su cui ha scritto diversi saggi, alcuni dei quali recentemente ripubblicati da Jaca Book nel bel volume che contiene una scelta di suoi scritti (Luigi Negri, Fede e cultura. Scritti scelti, Jaca Book, Milano 2011).
Nel libro sul Risorgimento si legge che, a un certo punto del processo risorgimentale italiano, “le vicende drammatiche che segnarono il breve periodo della Repubblica romana, in cui il Papa fu costretto a fuggire da Roma” costituirono “un momento storicamente decisivo” (p. 72) per la frattura tra la Chiesa e i movimenti rivoluzionari che si stavano mettendo alla guida del Risorgimento.
Si sa che, nell’affrontare un testo, esistono diversi livelli di lettura e quello di Negri è sicuramente un contributo agile, pensato per il grande pubblico, nell’ottica di compiere il doveroso tentativo di non ritardare ulteriormente il richiamo all’urgenza di una “pacificazione della memoria” che sappia “non solo denunciare che il processo di unificazione è avvenuto in modo poco rispettoso del popolo e della grande tradizione cattolica, ma anche riconoscere il contributo culturale fondamentale del magistero sociale della Chiesa e l’operato decisivo dei cattolici a livello sociale” (p. 93).
Ma ciò che le riflessioni di Negri suggeriscono non solo al dibattito storiografico, ma anche al vasto mondo dell’educazione e ai grandi temi che fanno da sfondo all’agenda politica, si situa a un livello più originario rispetto all’istanza di una pur vitale riconciliazione della memoria. Tale suggerimento, infatti, non riguarda solo la necessità di non escludere dai grandi circuiti editoriali quegli studi storici che, contribuendo a far venire allo scoperto l’anima anti-cristiana e quindi anti-italiana delle correnti ideologiche che presero la guida del processo risorgimentale, aiutano da alcuni decenni quanto meno a sottolineare come non sia possibile sostenere che lo schieramento cattolico che allora risultò sconfitto fosse dalla parte del torto solo per il fatto di non avere vinto.
Il 12 febbraio 2011 monsignor Negri è intervenuto, a Roma, nella Sala della Promoteca Capitolina del Campidoglio a un Convegno promosso da Alleanza Cattolica, associazione da anni meritoriamente impegnata nella promozione e nella produzione di queste ricerche storiche e di cui è testimonianza un importante volume che non propone gli atti del Convegno (e che quindi non contiene il testo di Negri), ma rilancia, attraverso saggi di storici non professionisti (Oscar Sanguinetti, Marco Invernizzi, Francesco Pappalardo, Giovanni Cantoni) ma quanto mai necessari nel nostro tempo, il valore di quelle interpretazioni.
Da alcuni mesi circola anche una mostra a cura del Centro Culturale Cattolico San Benedetto, in collaborazione con le edizioni Ancora (e della quale è disponibile il catalogo), che ha il merito di dedicare ampio spazio a quelle figure del mondo cattolico italiano dell’Ottocento (Niccolò Tommaseo, Cesare Cantù, Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo e soprattutto Antonio Rosmini, senza dimenticare lo stesso Pio IX e monsignor Giovanni Corboli Bussi a cui accenna Alberto Torresani in una delle introduzioni alla mostra) accumunate dall’essersi fatte paladine, seppur in modi diversi, di una soluzione federalista al problema dell’unificazione italiana e che risultarono sconfitte dallo schieramento facente capo a Camillo Benso di Cavour e a Giuseppe Garibaldi (L’Unità d’Italia. Una storia di persone e di idee, Centro Culturale Cattolico San Benedetto-Edizioni Ancora 2011).
Benedetto XVI, infatti (ed è questo un altro motivo di interesse del libro di Negri), scrivendo, nel suo messaggio al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che il processo di unificazione politica italiana costituì “il naturale sbocco di uno sviluppo identitario nazionale iniziato molto tempo prima”, ha inteso non certo nascondere le ragioni dei vinti dietro la maschera dell’unità politica quale effettivamente si realizzò. Il Papa, al contrario, ha inteso sottolineare come, se un’unificazione politica dell’Italia si poneva, alla metà dell’Ottocento, come compito necessario e vantaggioso per la Penisola, la modalità con cui essa venne realizzata non si fondò sull’identità cattolica del popolo italiano. E ciò per diversi motivi, non ultimo la questione educativa, che, in netto contrasto con la prospettiva (già in nuce sussidiaria) emergente da due poco note quanto fondamentali encicliche di Leone XIII (Immortale Dei e Libertas del 1885 e del 1888) incentrate attorno al richiamo della limitazione del potere politico di fronte alla libertà della persona e ai diritti della verità, venne concepita come di esclusiva competenza dello Stato.
Un’alternativa, ancora negli ultimi mesi del 1848, si sarebbe potuta realizzare, se il Primo ministro di Pio IX, Pellegrino Rossi, il 15 novembre di quell’anno, non fosse stato pugnalato nel cortile del Palazzo della Cancelleria a Roma per volontà di un estremismo democratico che di lì a poco avrebbe dato vita alla Repubblica Romana e se, un mese prima, il Governo piemontese avesse lasciato libero Antonio Rosmini di condurre “a modo suo” la missione diplomatica presso Pio IX, trattando cioè col Pontefice il concordato con il Piemonte e una Confederazione di Stati italiani.
Sono eventi che meritano un approfondimento e che però ci conducono forse oltre il libro di Negri, il cui messaggio di fondo, come ho già detto, risiede non nella riproposizione di una vecchia (e non per questo del tutto sbagliata) polemica, e nemmeno nell’auspicio di una riconciliazione della memoria, ma nell’essere uno strumento di lavoro per l’oggi.
A essere in gioco, nel dibattito sul Risorgimento, non sono soltanto le ragioni del cattolicesimo dell’Ottocento e nemmeno soltanto le ragioni del cattolicesimo del nostro tempo, ma la questione ben più importante di quale siano la verità e il fondamento del giusto rapporto tra l’uomo e i poteri a lui superiori, una domanda della quale è quasi superfluo sottolineare l’attualità: “Se fondamentale per la democrazia è il riconoscimento di un ethos originario, il rispetto e la promozione delle differenze, hanno più favorito la democrazia i cosiddetti padri del Risorgimento, coloro che hanno identificato la loro parte con il tutto, o Pio IX, che ha affermato l’esistenza di differenze radicali, di una distanza incolmabile tra la cultura e la tradizione cattolica da una parte e la cultura e la tradizione liberale di stampo laicista dall’altra?” (p. 102).