“La letteratura non incomincia con un uomo solo seduto a un tavolo, mentre scrive con una lunga penna d’oca intrisa d’inchiostro, ma con un gruppo di uomini e donne in circolo, accovacciati davanti al fuoco mentre qualcuno racconta una storia. Forse è notte: dentro una caverna, si difendono dalla pioggia, dal freddo e dalle fiere che si aggirano in agguato. Avvicìnati e ascolta”.
Non dentro una caverna, non dal freddo si cerca il riparo, forse non si è neppure in circolo, ma si può fare un briciolo dell’esperienza di cui parla Savater in Cattivi e maledetti, oggi, dentro la scuola, dentro il luogo in cui alla letteratura si cerca perlomeno di avvicinare?
Novembre è tempo di riflessione per gli insegnanti. Alle prese con le progettazioni, coi documenti da preparare, le ore di lezione acquistano la luce di passi di un cammino. Mentre si stende il programma, si sono compiuti già i primi passi, nei primi mesi di scuola: si è tastato il terreno (con test di ingresso o prove comuni), si è verificato di aver ciò che occorre nel proprio bagaglio (i cosiddetti prerequisiti), ci si attrezza per far fronte alle difficoltà (individuando strategie di recupero); certo, si sa che poi, durante il viaggio, più volte la direzione sarà da aggiustare: bisognerà svoltare da una parte piuttosto che un’altra, scegliere una via più breve o fermarsi un po’, persino scegliere quella più lunga. Dove vogliamo andare?
Ora, accade che, tutti gli anni, mentre sto compilando tabelle, sfogliando gli indici dei manuali, ragionando sulle competenze, mi imbatta in un fenomeno particolarmente gratuito e felice: quello di ritrovarmi “attorno al fuoco” con i miei studenti.
Solitamente, quando leggo qualcosa in classe, chiedo di aprire il libro e seguire sul testo, tenendo in mano una matita per appuntare ciò che spiego, per scrivere le parole che non conoscono, sottolineare passaggi importanti e ciò che emerge dagli interventi dei compagni: dighe di grafite, segni di matita come argini a suoni che rischiano di fuggire. Questo è parte del programma del viaggio. Senonché, ecco, c’è una prima svolta da considerare.
Quando propongo la lettura integrale di un romanzo ad una delle mie classi, detto sul diario titolo, autore, editore, stabilendo una data ragionevole per portarlo a scuola. Il tempo passa, la data si avvicina. Una delle ultime volte, solo due alunni avevano sul banco quel giorno il libro che avevo chiesto: ritardo, dimenticanze, trascuratezza, non importa ora indagarlo, perché è uno di quegli imprevisti che mi ha fatto fare un passo un po’ più chiaro nel viaggio. Ho iniziato a leggere, dicendo ai ragazzi di ascoltarmi. Ho letto, tutto d’un fiato, senza fermarmi a parlare. La mia voce dava voce alle parole del testo, semplicemente. Quando è suonata la campana, mi sono chiesta: “Nessun commento, nessuna nota, nessuna scritta. Cosa abbiamo imparato?”.
Ho rifatto l’esperimento, in diverse classi, indotta dallo strano silenzio che in quell’ora avevo incontrato. In una prima media ho pensato di leggere una storia senza che i ragazzi avessero il testo, per sviluppare attenzione e concentrazione educando all’ascolto. Da insegnante, ho preparato degli esercizi, per aiutarli: domande con informazioni da reperire nel testo, titoli da assegnare, brani da completare. E invece, scavalcando i puntelli che avevo messo per sostenere l’attenzione, Dedalo e Icaro, Talo, Teseo, Minosse, Arianna, sono venuti a farci compagnia dal romanzo di Mino Milani, ci hanno messo in ascolto, alla ricerca dei misteri di Cnosso, ci hanno fatto scoprire pulsioni, passioni, segreti. Tutte le volte in cui entravo in classe mi chiedevano, con entusiasmo, se in quell’ora avessi letto il libro, e quando dicevo di sì vedevo volti illuminarsi. Quell’ora, dedicata alla lettura, era un’ora desiderata. L’aspettavano, come si attende un amico, con trepidazione ma senza fretta: pazienti di fronte a una storia che scorreva nel tempo, e che chiedeva tempo per essere ascoltata. Confesso di aver smesso di preparare esercizi, decidendo di tenere quell’ora così, semplicemente per la lettura. Quando siamo arrivati al punto in cui viene descritto il labirinto, ho detto ai miei alunni che se volevano potevano disegnarlo mentre ascoltavano. La volta successiva mi hanno chiesto se potevano disegnare ancora. Ho sorriso e ho detto di sì. Avevano sempre una matita in mano, ma non per prendere appunti. Mi ascoltavano? Qualche giorno dopo, nella stessa ora di epica, ho chiesto di raccontare ad un compagno che era stato assente dove era arrivata la lettura: non riuscivo a trattenere le mani alzate, e la storia ha preso una forma corale. Che cosa stava accadendo di strano?
È con sorpresa che, quando in questo tempo di programmazione si riaprono le Indicazioni nazionali, ci si imbatte in una frase che richiama che la lettura va praticata su molti fronti, per molti scopi, e con diverse strategie, ma senza mai tralasciare l’ascolto “di testi letti dall’insegnante […] senza alcuna finalizzazione, al solo scopo di alimentare il piacere di leggere”.
Nel ritmo frenetico delle giornate, anche talvolta di quelle scolastiche, un’ora di lettura è un’ora in cui noi e gli alunni ci collochiamo in uno spazio e in un tempo continuo, non frammentato, finalmente unitario. La voce dell’insegnante e le parole del testo che prendono voce, immergono in un flusso ordinato di eventi, e si apre uno spazio in cui possibile recuperare la dimensione narrativa della vita. È un momento in cui noi e gli studenti possiamo prendere fiato, fare un respiro, fermarci un attimo e riposare, trovare riparo dalle fiere del mondo di oggi, nell’intermittenza di istanti non più collegati tra loro. Non da fiere, non dal freddo, non da animali feroci con le loro zanne e gli artigli, ma da ciò che dilania il rapporto dell’io con se stesso la letteratura e la lettura ad alta voce possono ancora aiutare a costruire un riparo.