Il periodo iniziale di un nuovo anno, e di un anno come questo denso di incognite di ogni tipo, è il momento favorevole per accostare le riflessioni e gli approfondimenti di un grande del pensiero del Novecento sull’avvenire dell’uomo: ci riferiamo a Pierre Teilhard de Chardin. Ne offre l’opportunità la recente pubblicazione da Jaca Book del volume intitolato proprio “L’avvenire dell’uomo” che raduna 22 saggi del grande scienziato gesuita scritti prevalentemente nella sua fase matura, tra il 1938 e il 1952, e conclusi dall’ultima pagina del suo diario redatta il giovedì santo del 1955, tre giorni prima di morire.
Sono riflessioni di grande attualità, che arrivano a toccare alcuni punti caldi del dibattito scientifico contemporaneo; in particolare, su come affrontare il dominio della complessità, quello che l’autore individua come uno dei tre “infiniti” delle scienze della natura: l’infinito dell’estensione (il macrocosmo), quello della piccolezza (il mondo subatomico) e l’infinito della complessità, studiato dalle scienze biologiche e responsabile del fatto che i cambiamenti di scala fanno emergere fenomeni non riducibili alla sommatoria dei comportamenti sottostanti.
Questi testi affrontano anche tematiche che escono dai puri confini delle scienze per entrare nella sfera della filosofia e della teologia, inserendosi nella polemica tra naturale e soprannaturale con l’originale prospettiva, nuova anche nella terminologia, dell’avvento “dell’ultraumano”. Teilhard non poteva sospettare che termini simili (trans-umano, post-umano) potessero trovare, con tutt’altro significato e spessore come osserva Carlo Molari nel saggio introduttivo, nelle stesse scienze (degenerate, diremmo noi) uno strumento di potenziale attuazione di scenari fino a poco fa oggetto solo di proiezioni fantascientifiche o cinematografiche.
Il nostro comunque è anzitutto uno scienziato e il suo punto di vista di paleontologo, delineato in un saggio del 1941, è quello di chi è ogni giorno a contatto, nella sua ricerca, con la dimensione del tempo e riesce, almeno un po’, a familiarizzare con le misure su grande scala, con le proporzioni cosmiche e geologiche che in ogni uomo suscitano un senso di smarrimento e insieme di attesa.
Sulla linea del tempo ecco emerge quello che, secondo Ludovico Galleni autore di una puntuale postfazione, è il nucleo centrale (per usare la categoria dell’epistemologo Imre Lakatos) del programma di ricerca teilhardiano: il “muovere verso”, come legge generale dell’evoluzione, della materia verso la complessità e della vita verso la coscienza. Si tratta, secondo Galleni, «di una vera e propria legge sperimentale», in quanto ci sono «meccanismi descrivibili che determinano il muovere verso», che fanno sì che «la vita non è caratterizzata da dispersione di forme e divergenze continue, ma da canalizzazioni e parallelismi, che possono quindi essere osservati e descritti».
La riflessione di Teilhard sull’avvenire dell’uomo si confrontava con «un’ondata di scetticismo inquieto» che stava spegnendo l’entusiasmo per i progressi ottenuti dall’umanità e istillava il dubbio che l’uomo non stesse avanzando; «dubbio mortale, se non si sta attenti, perché tende direttamente a uccidere, con il gusto di vivere, la forza viva dell’Umanità». D’altra parte, tutta l’indagine scientifica mostra che il mondo è il risultato di un “movimento” e anche psicologicamente, osservava Teilhard in una “Nota sul progresso” del 1920, «l’immobilità non ha mai entusiasmato nessuno!».
Il paleontologo ha dalla sua la capacità di individuare quei “movimenti lenti” che non si riescono a percepire direttamente, ma che segnalano l’evolversi del cosmo e della vita; e, nella «curva tracciata dalla Vita, l’Uomo occupa indiscutibilmente la sommità; ed è anche lui che, con la sua comparsa e la sua esistenza, finisce per dimostrare la realtà e definire l’andamento della traiettoria: “il puntino sulla i”». È quindi una questione di dati e di fatti: «Il movimento cosmico verso più coscienza non è un’illusione ottica, ma esprime l’essenza stessa dell’evoluzione biologica».
Ed ecco allora la domanda cruciale: il movimento continua? «Possiamo seriamente parlare di un Futuro dell’Umanità?». Qui Teilhard non vuole fare il futurologo ed è ben consapevole di «quanto sia pericoloso, scientificamente, prolungare una curva al di là dei fatti, cioè estrapolare». Tuttavia constata che l’umanità ha ancora un grande potenziale di progresso e lo scenario fisico nel quale svilupparlo non mostra indizi significativi di un imminente collasso. Ciò ha delle conseguenze su ciascuno di noi, perché l’evoluzione «si carica sempre più di libertà» e «non tutte le direzioni sono buone»; per lui «una sola fa salire: quella che attraverso una maggiore organizzazione conduce a più sintesi e più unità».
La vita quindi si muove verso l’unificazione. Ma non può fare a meno delle nostre decisioni e delle nostre opzioni. Così Teilhard non può evitare di concludere la sua riflessione con la proclamazione della visione sintetica che ha animato tutta la sua ricerca: «In verità, più mi sforzo, con simpatia e ammirazione, di misurare alla luce della Paleontologia gli immensi movimenti della Vita passata, più mi persuado che questo gigantesco sviluppo, del quale nulla riuscirà ad arrestare la marcia, non raggiungerà il suo termine se non cristianizzandosi».