Studiare il Novecento nell’ultimo anno delle Scuole Superiori: proposta rilanciata su queste pagine, che a molti potrebbe apparire provocatoria o impraticabile. Rischi di ideologismo, difficoltà nell’organizzazione didattica della disciplina: queste sono le obiezioni.
Che non tengono però conto di due fattori decisivi.
Il primo: la fame di conoscenza della storia recente del nostro Paese e del Mondo da parte dei nostri ragazzi. Ne ho la riprova dai miei studenti che mi chiedono, in margine alle mie lezioni di letteratura antica, consigli di lettura sugli anni ’70, sul ’68, sulla Guerra Fredda; che si rendono conto, durante l’attività del “Quotidiano in classe”, che sono privi delle nozioni fondamentali per comprendere appieno il senso di molti articoli; che desiderano fare la “tesina” per l’Esame di Stato su temi quali “La contestazione giovanile”, “Il ruolo della donna nel secondo dopoguerra” ma sono disorientati e chiedono aiuto ai professori, scusandosi se intendono fare qualcosa “che non c’è nel programma”.
Basterebbe questo per prendere sul serio la proposta che Berlinguer pose nero su bianco anni fa (decreto n. 682 del 1996), regolarmente disattesa.
Ma c’è un argomento più cogente, almeno sul piano utilitaristico.
E’ sufficiente scorrere gli argomenti proposti per la prima prova dell’Esame di Stato da quando questo è stato riformato (con la Legge Berlinguer n. 425 del10 dicembre 1997), e cioè dal 1998-1999, per accorgersi che il Novecento (politico, letterario, socio-economico, scientifico) è il protagonista indiscusso delle prove scritte degli esami con i quali si conclude il percorso formativo dei nostri studenti.
Così accade che studenti, che a malapena, a fine maggio, sono riusciti a studiare Pirandello, la Prima Guerra Mondiale, gli Impressionisti, a metà giugno sono chiamati a produrre analisi di testo su Pavese, Montale, Saba e a cimentarsi con temi di argomento storico sul Concilio Vaticano II (Esame di Stato 2002), sul Terrore e la repressioni politica nei sistemi totalitari del ‘900 (2003), sul processo di emancipazione femminile nel Novecento (2001), addirittura su “I due volti del Novecento” (2004). In dieci anni di Esame di Stato solo nel 2005 e nel 2007 è stato proposto un passo di Dante per l’analisi del testo e nel 2006 un saggio breve di ambito storico sul pensiero di Mazzini (ma il tema storico verteva su Onu, Patto Atlantico e Unione Europea!).
Non stupisce poi, lo documentano le statistiche che ogni anno il Ministero dell’Istruzione diffonde all’indomani dell’esame, che tali prove (l’analisi del testo e il tema storico) vengano clamorosamente snobbate dagli studenti. I quali scelgono in massa il saggio breve o l’articolo di giornale, prove che offrono il vantaggio di proporre, come traccia di lavoro, documenti, citazioni, argomentazioni, cioè quei contenuti che gli studenti non posseggono, ma che in questo modo è facile rielaborare, con un lavoro che spesso si limita al collage…
E’ una delle tante contraddizioni della nostra scuola: estromesso dallo studio nelle scuole, il Novecento irrompe a conclusione del percorso scolastico. Ma, dopo 10 anni, non si può dire che si tratti di un ospite improvviso e non atteso. Eppure, nonostante ciò, la didattica non cambia, i programmi non cambiano e ogni anno consegniamo all’esame studenti ad esso impreparati.
Basterebbe solo questo calcolo utilitaristico per prendere sul serio e rivalutare la proposta dello studio del Novecento nelle scuole. E occorrerebbe uno sguardo più attento ai nostri studenti per coglierne le esigenze di conoscenza e formazione.