Accostarsi a John Henry Newman (1801-1890), il grande intellettuale e parroco anglicano di Oxford convertitosi al cattolicesimo nel 1845 (di cui quest’anno ricorrono i 130 anni dall’ingresso nel Sacro Collegio dei Cardinali), non è come leggere un autore tra i tanti: chi ha avuto l’opportunità di conoscere la sua opera (pubblicando sull’argomento il volume Per una ragione vivente. Cultura, educazione e politica nel pensiero di John Henry Newman, Vita e Pensiero, Milano 2008) ha infatti sentito dentro di sé quel cambiamento che solo i grandi spiriti sanno comunicare, in quanto sono stati proprio loro a non aver temuto di mettere in discussione se stessi.
«In religione tutte le strade hanno ostacoli; questa ha una robusta cancellata, quella attraversa una palude. Non per questo non si deve prenderla; la religione non deve essere un punto morto, il cristianesimo non deve morire. Dove si va, altrimenti?», scriveva Newman in Loss and Gain (1848), il primo romanzo cattolico in lingua inglese. Charles Reding (incarnazione narrativa dell’autore) fece proprie queste parole pronunciate da un suo amico, lasciando la Chiesa anglicana e passando alla Chiesa di Roma, proprio per evitare che il cristianesimo morisse, che non avesse cioè più nulla da dire alla sua coscienza. Infatti, gli studi che Newman aveva intrapreso all’interno del Movimento di Oxford (importante iniziativa di carattere teologico finalizzata ad un rinnovamento della Chiesa anglicana) erano stati concepiti per difendere l’anglicanesimo dall’azione legislativa del governo liberale, ma grazie ad essi, egli si convinse del carattere scismatico della Chiesa anglicana e del fatto che la pienezza dell’ortodossia risiedeva non a Canterbury, ma a Roma.
La sua conversione al cattolicesimo fu quindi l’unica possibilità di ritorno all’origine cattolica della quale, secondo lui, viveva non solo l’anglicanesimo, ma anche il torismo, qualora fosse stato inteso nel suo autentico significato, cioè come l’insieme dei valori tradizionali dell’Inghilterra: «Siamo stati fedeli alla tradizione di quindici secoli. Tutto ciò fu chiamato Torismo, e gli uomini si gloriavano nel suo nome; ora viene chiamato Papismo e lo si vilipende», si legge nella Lettera al duca di Norfolk (1874), l’ultima grande opera di Newman, scritta per rispondere al Primo Ministro inglese uscente William Gladstone (che accusava i cattolici di non essere buoni sudditi a motivo dalla loro presunta rassegnazione al magistero del papa) e nella quale l’accusa poté essere girata allo Stato. Mentre infatti il cattolico godeva di una libertà di coscienza che lo legava solo a Dio, il vero problema non era tanto la mancata fedeltà dei cattolici inglesi al potere civile, quanto la coscienza del potere civile in Inghilterra (the conscience of the State), che, se non riconosceva la propria dipendenza da Dio, avrebbe coartato la libertà della persona.
La battaglia culturale che Newman aveva deciso di combattere fin dagli anni oxoniensi era infatti, a suo giudizio, il tentativo di salvaguardare un’idea di ragione (poi spiegata da un punto di vista filosofico nella Grammatica dell’assenso del 1870) che poteva essere garantita solo se non fosse andato perso il riferimento religioso della persona: si trattava di una vera e propria emergenza educativa alla quale egli poté dare risposta all’indomani della conversione, nella celebre Idea di Università (1852-1859), dove spiegò che il cattolicesimo era il senso autentico dell’educazione liberale su cui l’Università doveva fondarsi. Secondo Newman, la ragione, intesa in tutta la sua ampiezza, non era un’opinione da sala per le conferenze (a lecture-room opinion) e quindi non poteva essere separata dalla totalità dei fattori dell’umano: «Non era la logica a spingermi avanti», scriveva nell’Apologia pro vita sua (1864), «tanto varrebbe dire che è il mercurio del barometro a far cambiare il tempo. Si ragiona con tutto l’essere, nella sua concretezza. Passa un certo numero di anni e mi avvedo che il mio pensiero non è più al punto di prima: come mai? Si muove l’uomo tutto intero; la logica scritta è solo una testimonianza di questo movimento».
Coscienza, ragione e persona: per difendere questo patrimonio Newman scalò le vette più alte della tradizione, oltrepassando il crinale del vecchio mondo.
(Giuseppe Bonvegna)