Nell’antichità Noè era noto come l’uomo più intelligente al mondo. Infatti oltre all’Arca, con la quale salvò la sua vita e quella di altri (animali compresi), gli viene riconosciuto il merito dell’invenzione del vino. Un atto del pensiero, un artefatto nobile dell’intelligenza umana. Nemmeno tra gli astemi si trova chi ne dubiti, anche se quella scoperta a Noè non ha portato fortuna. A ben vedere nel racconto biblico, che riassume in un unico uomo (Noè) le esperienze che molti uomini fecero in molti secoli, troviamo due polarità, una che comprende un’invenzione del gusto, implementabile nei secoli, perché per millenni il prodotto noto come vino doveva essere corretto con zucchero e spezie varie, tra le quali il finocchio. Da cui l’espressione infinocchiare; segno che quel vino non era un gran che. L’altra polarità la troviamo nel pericolo, quasi invisibile, trattandosi di un prodotto piacevole, l’esperienza del quale, per i più, è gradevole. Salta così uno dei criteri di valutazione più semplici e immediati di cui disponiamo sin da piccoli: se è buono fa bene, se è amaro (cattivo) fa male. Ma per quanto provato, il criterio suddetto non ne esce sconfitto, perché gli effetti di una sbronza sono equivalenti all’indigestione (di questo si tratta), cioè allo star male. E molto.
Il vino non è tra le bevande più gettonate dai giovanissimi nei locali della movida del venerdì sera, o del sabato. A Roma o a Milano… Vodka, gin, whisky, birra e cocktails vari la fanno da padrone nei locali e nelle discoteche. E sempre più spesso anche a casa da soli, davanti alla webcam dopo la nomination. Infatti tra i giovanissimi che cadono in preda agli effetti dell’alcol, che svengono, perdono i sensi, entrano in coma e altro ancora, la maggior parte è astemia e ben poco sa del gusto di abbinare un buon cibo a un buon vino.
Il Corriere della Sera di lunedì 22 settembre lancia un allarme, ben motivato da un’inchiesta blitz fuori dai pronto soccorso del San Raffaele a Milano o del Gemelli a Roma, andando a curiosare se i dati diffusi dal ministero della Salute siano riscontrabili o meno, e purtroppo lo sono. Brevi racconti impietosi, testimonianze di medici sconfortati dal flusso tamburellante degli arrivi di ragazzi e ragazze (un po’ meno), per altro non disperati, con vite quotidiane regolari. C’è la ragazza liceale quindicenne che al risveglio sull’ambulanza si preoccupa che la madre sia stata avvisata, e c’è il diciassettenne che si dà dello stupido da solo perché cercava di far colpo sull’amica della sorella, che ora non lo vorrà più nemmeno sentire nominare. Niente spiegazioni, niente analisi improvvisate o affidate all’esperto di turno. Una buona volta un po’ di rispetto. Condizione indispensabile per essere ascoltati, almeno un po’.
Mancano forse le regole e i divieti? E i divieti in che rapporto stanno con gli stessi comportamenti di abuso, e con le innumerevoli lusinghe al godimento, socialmente incentivate da uno Stato-Lucignolo che predica male e razzola peggio: gioca responsabile, bevi responsabile, scommetti responsabile… E le regole chi le mette in gioco? Chi è l’altro di questo rapporto? Lo Stato-Lucignolo? Chi si prende la briga di porsi come altro reale, di dire sì o no, così va, così non va. Così mi piaci, così no. L’altro potresti scoprirlo in una di queste sfortunate occasioni, in chi si è fermato con te e ti teneva la fronte mentre vomitavi, che è salito in ambulanza e ha detto una parola buona ai tuoi che arrivavano spaventati e demoralizzati. Nel prof, che ti viene incontro a scuola nel primo giorno utile e ti dice: “tranquillo, ricominciamo”.
Tra poco nelle scuole ripartiranno le attività di prevenzione, contro la droga, il gioco patologico, i comportamenti abusanti di sostanze illegali e legali e questa volta un focus speciale lo conquisteranno le bevande alcoliche. Chissà se a qualche incaricato di programmare le attività di prevenzione verrà l’idea di affidarne il coordinamento a un bravo sommellier. L’alternativa è ripartire dal gusto, e da chi ha il gusto di coltivarlo. Perché senza soddisfazione non resta che il vortice di un godimento vuoto (a perdere).