Il Profeta del Vento di Stefano Biavaschi, 60 anni, milanese, insegnante di religione e giornalista, è certamente uno degli esordi letterari più singolari. Senza alcun appoggio da parte della grancassa mediatica, pubblicato da un editore che deve sgomitare per farsi spazio fra i grossi canali di distribuzione, Il Profeta del Vento (edito da Fede&Cultura, Verona) ha già superato le 20mila copie in Italia e si avvia ad avere analogo successo nei Paesi che ne hanno richiesto la traduzione: dalla Polonia (col titolo di Prorok Wiatru) alla Colombia (El Profeta del Viento), dalla Repubblica Ceca (Prorok Vetru) alla Francia (Le Prophète du Vent), dalla Germania (Der Prophet des Windes) agli Stati Uniti (The Prophet and the Wind). Eppure si tratta di un libretto di una sola ottantina di pagine, anche se piuttosto dense: la cornice narrativa è quella di un suonatore di flauto in cerca d’ispirazioni sulla riva del mare, e quando le ispirazioni arrivano non si può assecondarle con i soliti generi letterari che siamo soliti leggere tutti i giorni. O si scrive qualcosa di veramente profetico o si rischia la banalità. E se la profezia è anche assecondata da una certa vena poetica, ecco che si aprono orizzonti artistici fuori dal consueto, stili narrativi fuori dal comune. Forse è questo che ha portato Il Profeta del Vento ad essere un romanzo di successo. Romanzo? No, non lo è. Racconto lungo? Novella? Il Profeta del Vento è quanto ci sia di meno catalogabile nell’attuale contesto letterario. Pertanto… non rimane che leggerlo.