Chapeaux. Non è facile mettere in pratica una strategia industriale e riuscire a ottenere dei risultati concreti in un paio di anni, ma Sergio Marchionne, l’ad di Fca, ci è riuscito e ieri ha presentato il miglior bilancio di sempre di Fiat Chrysler battendo anche le più ottimistiche previsioni degli analisti. Bastano tre dati per capire come gli “affari”, nell’anno appena passato, siano andati a gonfie vele: l’ebit rettificato (il margine di guadagno sull’attività) è cresciuto del 26% a 6,1 miliardi di euro, l’utile netto è salito a 1,8 miliardi e l’indebitamento è sceso a 2,5 miliardi, riducendosi di circa mezzo miliardo.
Eppure Fca non ha venduto un’auto in più rispetto al 2015, anzi ne ha immatricolata qualcuna in meno (18 mila), ma è riuscita a far entrare più soldi in cassa e a guadagnarci di più. Come? Le parole magiche in questo caso sono “mix di prodotto”, ovvero quale tra i diversi modelli di auto che ho in gamma sono riuscito a vendere di più. Ebbene, tra Detroit e Torino sono riusciti a piazzare meno utilitarie e più fuoristrada, meno auto da 10 mila euro e più veicoli tra i 20 e i 30 mila euro, più auto accessoriate e meno versioni base. Marchionne lo aveva detto e lo ha fatto.
Anche tutta la strategia di rilancio di Alfa Romeo è dettata da questo obiettivo: vendere auto premium che costano di più (e su cui ci sono margini maggiori) per alzare il livello del mix di prodotto. Ma, a dire il vero, la casa del Biscione c’entra poco con i risultati del Gruppo, perché produzione e consegne della nuova Giulia sono partite solo negli ultimi mesi dell’anno. E anche il contributo di Maserati, seppur importante (ricavi a 3,5 miliardi e immatricolazioni in crescita del 30%), non è stato decisivo.
A migliorare il mix dei prodotti venduti ci hanno pensato soprattutto i Suv della Jeep che ha venduto 1,49 milioni di auto nel mondo (su un totale di 4,72 milioni immatricolate dal Gruppo), ha aperto nuovi mercati e, anche grazie alla rivalutazione del dollaro, ha potuto beneficiare dei maggiori guadagni sui modelli costruiti in Italia. L’aumento delle vendite in Europa (+11%), poi, ha largamente compensato la leggera flessione di immatricolazioni nel Nord America (-1%) e l’andamento rovinoso dei mercati sudamericani, Brasile in testa, dove il gruppo ha perso quasi un quinto delle consegne e un paio di punti di quota di mercato rispetto ai concorrenti.
Tutto bene dunque? No. I risultati del 2016 mettono anche in evidenza quello che è stato ed è ancora il buco nero della gestione di Sergio Marchionne: l’Oriente e, in particolare la Cina. In tutta la zona, Fca è riuscita a vendere solo 233 mila auto con una crescita del 8% rispetto al 2015. Un’inezia rispetto a un mercato che ormai rappresenta oltre un terzo delle immatricolazioni mondiali. Solo sul mercato cinese nel 2016 sono state vendute 28 milioni vetture e Fca, con il socio locale Gac, è riuscita a piazzarne appena 13 mila con il marchio Fiat (meno della metà dell’anno) e 132 mila con il marchio Jeep. Niente. Come niente è il mezzo milione di Jeep che Fca si pone come obiettivo nel 2018 in Cina. Dove, solo per fare un paragone, il Gruppo Volkswagen già vende 4 milioni di vetture e vuole crescere ancora.
Ma cosa può fare ora Marchionne per rimediare? Poco o nulla. E la colpa non è solo dell’avvocato Agnelli che, quando una delegazione cinese arrivò a Torino offrendo joint-venture per costruire auto in Cina, disse che al massimo i cinesi usavano le biciclette. I cinesi andarono da Volkswagen e lì sono rimasti. Poi arrivarono gli americani, i francesi, e persino i coreani e i giapponesi. Ci provò una decina di anni fa anche Fiat che non era proprio nelle condizioni per farlo. Ma non andò bene. Ora è troppo tardi. Persino le facilitazioni fiscali introdotte dal Governo cinese per le auto sotto i 1600 centimetri cubici non hanno aiutato la Fiat Viaggio, l’auto pensata dal Lingotto per i cinesi. Pochi punti vendita, poche fabbriche, poca conoscenza del marchio. E nessuna speranza, anche con Jeep, di diventare un fattore nel mercato auto più importante del mondo.
L’unica possibilità è trovare il “socio” che Marchionne cerca da anni, una casa automobilistica che abbia bisogno dei plus offerti da Fca e che, in cambio, offra quello che a Fiat Chrysler manca: un posto al sole della Cina.