Dritto dritto dall’università privata “Waseda” di Tokyo arriva il mitico KOBIAN, l’androide emozionale. Un robot delle dimensioni di un essere umano che parla e cammina, gesticola e simula comportamenti emotivi.
Tranquilli, siamo ancora lontani dalle atmosfere alla Blade Runner e, detto inter nos, le emozioni prodotte da quest’ultimo ritrovato della tecnica non sono poi così tanto evidenti come i suoi entusiasti creatori vogliono farci credere. Viene da pensare che se questa è davvero l’ultima frontiera della robotica passerà, grazie a Dio, ancora molto tempo prima di dover affrontare i Terminator in piazza.
Ciò detto rimane qualche domanda. Perché affannarsi tanto a produrre un marchingegno dalle sembianze umanoidi che sia in grado di esprimere emozioni? Forse perché il giorno in cui l’umanità sarà completamente anaffettiva le emozioni saranno custodite in appositi file, come reperti storici in un museo? Qualcuno farà le veci del nostro essere umani? E se invece le prospettive sono più ottimistiche che senso ha spendere soldi e tempo per creare un oggetto a nostra immagine e somiglianza?