LONDRA — In questi ultimi giorni di scuola prima delle vacanze natalizie, migliaia di studenti britannici si stanno dedicando all’application per l’università, qui sempre a numero chiuso. Le rette annuali, che ormai sorpassano le 9mila sterline e che creano debiti che possono pesare sui laureati per anni, spingono sempre più studenti a scegliere il corso anche in termini di return on investment, considerando quali corsi offrano i più alti livello d’impiego dopo la laurea e quali il più alto stipendio. Questa settimana l’Ucas, l’ente che gestisce le iscrizioni a tutte le università britanniche, ha pubblicato dati che mostrano un trend verso corsi più tecnici e con chiari sbocchi lavorativi e in allontanamento dalle materie umanistiche, con le loro prospettive più nebulose.
C’è però un corso che resiste al trend e che da quasi un secolo sembra essere un biglietto d’ingresso nella classe dirigenziale britannica: Philosophy, Politics and Economics (Ppe) ad Oxford. La pervasività dei suoi laureati nei corridoi di potere è ineguagliata: quattro ministri del governo May (in quello Cameron erano sei), tra cui il vice primo ministro, il ministro dell’economia, quello della sanità e quello della giustizia, numerosi deputati Labour, tra cui l’ex leader, gli amministratori delegati di due delle più grandi banche britanniche e del terzo più grande private equity della City, il direttore dell’Economist, il direttore di uno dei più importanti telegiornali Bbc e quello del programma politico di punta della tv privata. E il magnate Rupert Murdoch. La lista continua, in ogni campo, credo politico, in ogni era e oltre i confini del paese, includendo persone come Bill Clinton, Benazir Bhutto e Aung Sang Suu Kyi.
Il corso fu introdotto a Oxford nel 1920; si pensava che studi focalizzati sul mondo moderno, piuttosto che quello antico o medievale, tipiche preoccupazioni oxoniane, avrebbero meglio preparato la classe dirigenziale imperiale e, non richiedendo conoscenza del greco — riserva delle grandi scuole private britanniche —, avrebbero semplificato l’accesso universitario a studenti provenienti dal sistema statale. Era la risposta anti-elitaria oxoniana alla rivoluzione russa e nel giro di pochi decenni si sostituì a Lettere classiche come laurea di scelta dell’aspirante classe dirigente.
Ppe è definito dalla sua ampiezza e interdisciplinarità piuttosto che dalla sua specializzazione. Non c’è tesi, non c’è obbligo di frequenza ai seminari e dopo un anno si può abbandonare una materia. Ma allora cosa rende il corso una preparazione così adatta alla leadership? Probabilmente è più questione di metodo che di contenuto. Due volte la settimana, gli studenti sono obbligati ad affrontare una domanda, che può spaziare dall’etica aristotelica alla macroeconomia, sulla quale devono leggere una letteratura vasta, assorbirla e scrivere un tema che poi difendono in un incontro individuale con un docente, di solito eminenza mondiale in materia.
Il tutorial (così si chiama il sistema) è la colonna portante di ogni corso a Oxford ed è essenzialmente un dialogo socratico. Sembra educare persone con capacità analitiche, sintetiche e retoriche considerevoli, e, elemento importante, flessibili e sicure di sé. Per i critici, il tutorial non è che training in sofistica, il miglior corso al mondo “nell’arte del bluff”. E tutte quelle opportunità lavorative che crea? Solidarietà di classe; i laureati in Ppe, convinti che sia la migliore educazione possibile, assumono laureati in Ppe.
Forse è significativo che tra tutti i primi ministri britannici del dopoguerra, gli unici due con lauree specialistiche, Margaret Thatcher (chimica) e Tony Blair (legge) siano anche quelli che sono stati più influenti sul tessuto del paese, mentre il referendum su Brexit abbia visto contrapposti il PPEist David Cameron e il classicista e “sofista” per eccellenza Boris Johnson. Forse il paese ha bisogno di più scienziati e meno bluffatori.