Caro direttore,
conosco da tempo e stimo Daniela Notarbartolo; capisco quindi le ragioni che motivano il suo contributo pubblicato ieri. Proprio perché muovo dalla convinzione che condividiamo profondamente la volontà di non far diventare la scuola e l’educazione l’ostaggio di visioni parziali o peggio ancora di fazioni corporative o ideologiche, mi permetto di condividere anche alcune precisazioni riguardo al mio pensiero, mi pare non correttamente interpretato nel suddetto contributo.
Già stiamo purtroppo assistendo in questi giorni, che vedono aperta la procedura per l’individuazione e la nomina del nuovo presidente di Invalsi, allo sconfortante scenario di rivendicazioni e strumentalizzazioni che poco hanno a che spartire con l’impegno serio a fare il bene per la scuola e per l’educazione.
Addirittura c’è chi ha teorizzato una sorta di disegno strategico già presente ai tempi in cui era stata redatta la lettera che con i miei colleghi avevamo indirizzato al ministro Carrozza, consistente nello “scippo” di Invalsi agli economisti dell’istruzione per consegnarlo nelle mani dei pedagogisti, ansiosi di rivincita. Con tanto di attribuzione delle due aree scientifico-disciplinari a schieramenti ideologico-politici opposti.
Fantascienza; a vantaggio pressoché esclusivo di chi ha voglia di comparire su qualche giornale, ma certo non a vantaggio della scuola.
Molto più semplicemente, la nostra lettera indirizzata al ministro diceva quello che intendeva dire: l’elaborazione e l’impiego degli strumenti e delle procedure di valutazione sono discipline complesse e necessitano del concorso di competenze complementari, nessuna esclusa. Altrimenti le intenzioni migliori e più condivisibili, se non corroborate da rigore metodologico e profonda comprensione del contesto scolastico, prestano il fianco a facili critiche che diventano alibi per screditarne il valore e l’importanza. Per questo segnalavamo la necessità di non estromettere le competenze disciplinari da noi rappresentate e le mettavamo a disposizione, senza con ciò disconoscere quelle di altri colleghi ed esperti, nell’università, nella scuola o altrove.
A fronte dell’assenza reiterata di risposta alla lettera, si è scelto di renderla pubblica. Tutto qui.
È francamente un po’ avvilente vedere che la sottolineatura di una criticità, in termini assolutamente non distruttivi ma propositivi, susciti contrarietà, scudi difensivi, controcritiche. Non serve questo alla nostra scuola, alla scuola che vogliamo per i nostri giovani e per il nostro Paese.
La mia storia professionale, ormai non breve, attesta che ho sempre rifuggito ogni genere di contrapposizione (economisti vs. pedagogisti; scuola vs. università ecc.), che reputo dannosa e per lo più strumentale ad interessi che non sono certo quelli della qualità della scuola e dell’educazione.
Anche a costo di scelte non facili da sostenere, ho sempre cercato e realizzato la collaborazione con colleghi delle più disparate discipline e con professionisti di contesti diversi, fra cui la scuola ma anche altri mondi professionali. Uso il termine collaborazione con molta precisione poiché è esattamente questo il punto: il servizio alla causa della scuola e dell’educazione o è frutto di un lavoro – certamente faticoso ma possibile – condiviso o non è.
Non si tratta di difendere questa o quella categoria o corporazione. Si tratta di riconoscere il lavoro realizzato (ho sempre pubblicamente e concretamente sostenuto l’importanza di quanto è riuscito a fare Invalsi prima sotto la guida di Cipollone e poi di Sestito), ma anche di essere consapevoli che si può ancora migliorare, a condizione di non innalzare steccati e di avere il coraggio di rifiutare il gioco delle parti.